Economia

Sul petrolio nuovi venti di tempesta

Per il cartello dei produttori «prezzi fra i 40 e i 60 dollari sono positivi per l’economia globale»

Rodolfo Parietti

da Milano

Per il momento è solo una tempesta tropicale, ma l’avvicinarsi di Wilma al Golfo del Messico, dove arriverà venerdì prossimo, ha già messo in fibrillazione i mercati petroliferi. Troppo recente il ricordo del disastroso impatto degli uragani Katrina e Rita sulle raffinerie americane, con i due terzi della produzione di greggio e la metà di gas naturale ancora bloccati a distanza di oltre un mese, per ignorare la nuova minaccia: così, fin dai primi scambi a Londra, il Brent si è mosso al rialzo fino a toccare un picco di giornata di 60,48 dollari (più 1,68% rispetto a venerdì); identico il copione a New York, con il Wti che ha chiuso a 64,45 dollari (più 2,9%).
Se sono per buona parte legittimi i timori di ulteriori disastri provocati dall’eventuale passaggio di un uragano in una regione già duramente provata, è anche vero che la speculazione continua a giocare un ruolo decisivo nell’andamento dei prezzi, facendo leva sulla componente più emotiva del mercato. È ciò che l’Opec va denunciando ormai da tempo, senza riuscire comunque, attraverso le proprie scelte produttive, a condizionare le quotazioni. La tesi del Cartello che l’attuale crisi non sia stata innescata da una carenza di offerta, ma piuttosto da movimenti speculativi, è del resto confermata dal taglio del 17%, a 1,18 milioni di barili al giorno, delle stime Opec sulla crescita della richiesta mondiale di petrolio nel 2005. Nel complesso, la domanda dovrebbe raggiungere quota 83,26 milioni di barili, con una crescita modesta (1,4%) sul 2004. L’organizzazione ha invece confermato le previsioni per una crescita della domanda a 1,5 milioni di barili al giorno, a 84,7 milioni, nel 2006, anno in cui il segretario Opec al-Sabah spera in un rilancio.
Una cosa sembra certa: la fine dell’epoca del petrolio a buon mercato. L’Opec non ha ancora stabilito il nuovo range di oscillazione dopo aver abbandonato l’anacronistica forchetta di 22-28 dollari, ma considera soddisfacenti «per tutti» quotazioni tra i 40 e i 60 dollari. «Prezzi nel range attorno a 40 dollari - ha spiegato il segretario Adnan Shihab-Eldin - sarebbero adeguati per aggiungere fornitura e ottenere buoni ricavi e sarebbero positivi anche per l’economia globale; prezzi sopra i 60 dollari non sembrano positivi».
Anche il Venezuela, Paese membro dell’Opec, sposa questa tesi. «Non vogliamo regalare petrolio come abbiamo fatto per 100 anni - ha affermato il presidente Hugo Chavez, ieri a Milano per partecipare alla seconda Conferenza nazionale sull’America latina - , vogliamo usarlo per l’economia del nostro Paese».

E di greggio, il Venezuela è ricchissimo: 350 miliardi di barili di riserve - ha ricordato Chavez - contro i 20 miliardi degli Stati Uniti.

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