Le quote rosa stavolta non centrano. Né si è dovuto ricorrere - come in Norvegia - a una legge ad hoc. La chiave di volta per gli Stati Uniti si chiama «recessione». La stessa che ha trasformato i colletti bianchi di Sacramento (California) nei senzatetto di una tendopoli di periferia. La stessa che ha fatto registrare nel mese di agosto un tasso di disoccupazione del 9,7%, picco massimo degli ultimi 26 anni. Quella recessione ora diventa opportunità per laltra metà della forza lavoro: le donne.
La svolta è di quelle epocali: entro il mese prossimo in America il numero di lavoratrici sarà più alto del numero di uomini occupati. Il sorpasso è vicinissimo, questione di poche unità. Perché già oggi, nel Paese del credit crunch che ancora regala notti insonni a molti americani, il 49,83% dei 132 milioni di posti di lavoro è in mano alle donne. Dopo, a un passo, cè la parità. Di più, la corsa in avanti. Un traguardo storico.
Un tempo era «women and children first, men last» (prima donne e giovani, poi i maschi, ndr). Le vittime della crisi erano soprattutto le lavoratrici, che occupavano ruoli secondari e di cui ci si poteva disfare con più facilità. Ora le cose sono cambiate. L80 per cento dei posti di lavoro persi da quando la recessione ha colpito gli Stati Uniti, nel dicembre 2007, era in mano ai maschi. E lo stesso trend si registra nel Regno Unito, dove il numero di uomini senza lavoro è cresciuto del 45% contro il 25% delle donne. Così anche in tutta Europa, dove per la prima volta il tasso di disoccupazione maschile ha superato quello femminile.
Sembra una vendetta della storia, in realtà è una delle conseguenze di una crisi mondiale che ha battuto duro su finanza, edilizia e manifatturiero - tre settori tradizionalmente appannaggio maschile -. Mentre contemporaneamente istruzione, sanità e pubblico impiego - dominati dalle donne - hanno retto al colpo.
Eppure cè chi sospetta che dietro alle scelte di qualche azienda ci sia di più, a cominciare dagli stipendi. Quelli delle donne restano ancora più bassi - in Europa il gap di salario tra i due sessi è del 17 per cento - e licenziare un maschio garantisce un doppio risparmio. «Quello che un tempo era uno vergogna ora è un vantaggio. E le donne sul mondo del lavoro sono diventate improvvisamente un affare», dice Catherine Kaputa, ex banchiere di Wall Street e autrice di «The Female Brand», in cui ha raccolto le storie di 150 manager americane. Qualcuno interpreta il sorpasso come una rivoluzione culturale destinata a cambiare non solo il menage familiare ma a ridefinire il ruolo delle donne nella società. «Limmagine delluomo che porta a casa il pane è destinata a cambiare», ha spiegato Maurrenn Honey, autrice di «Breaking the Ties that Bind», in cui racconta come il lavoro abbia aiutato le donne americane ad affermarsi nella società.
«È stata una lunga, storica fatica, ma adesso ci siamo», ha commentato Heidi Hartmann, presidente di Womens Policy Research. La «fatica» - secondo qualcuno - sarebbe stata premiata anche grazie alle caratteristiche vincenti delle donne sul lavoro. Un modello? Il magistrato della Corte suprema appena nominato da Barack Obama, Sonia Sotomayor. La giudice venuta dal Bronx è stata scelta da Obama per due ragioni: competenza ma anche empatia, capacità di capire gli altri. Due doti che molte donne sono state capaci di portare sui luoghi di lavoro dove il dominio maschile ha spesso accentuato la competizione. «Alle donne interessa costruire consenso e armonia - spiega lex banchiera Kaputa -, doti che sono sempre più ricercate nelle aziende e sul posto di lavoro».
I dati, insomma, sono incoraggianti, ma i problemi, tanti, restano.
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