«L’Italia si trova nella fascia bassa» dei Paesi Ue in deficit nel 2009 e nel 2010». Il ministro dell’Economia Giulio Tremonti, al termine del consiglio Ecofin ieri a Bruxelles ha sottolineato come lo stesso scenario di previsione dell’Unione Europea confermi la validità delle scelte attuate dal governo italiano. La politica portata avanti dall’Italia in questo momento di crisi «è stata valutata in Europa come la politica giusta», ha aggiunto evidenziando come sia l’Eurogruppo che l’Ecofin abbiano considerato l’azione italiana come caratterizzata da un «corretto equilibrio» tra la situazione dei conti e la necessità di varare misure per contrastare la crisi.
D’altronde, ha rilevato lo stesso titolare del Tesoro, la stima Ue di un rapporto deficit/Pil al 3,8% nel 2009 «se corretta per gli effetti del ciclo economico è come se fossimo sotto il 3 per cento». Si tratta, quindi, di un riflusso della crisi internazionale piuttosto che di un collasso del sistema-Paese. In Italia, ha spiegato Tremonti, la dinamica dell’indebitamento della pubblica amministrazione «è molto blanda, lenta, dovuta al ciclo economico e non dall’esigenza di fronteggiare crisi bancarie». Insomma, se il deficit/Pil aumenta è per effetto di una mancata crescita e non a causa dell’iniezione di capitali statali nel sistema finanziario privato.
«È troppo presto», ha chiosato il ministro, per addentrarsi in discussioni sull’apertura di procedure di deficit eccessivo da parte della commissione Ue. A ogni buon conto il direttore generale del Tesoro, Vittorio Grilli, ha indicato che a Bruxelles si procederà prima sui Paesi che si trovano in deficit pubblico sopra il 3% già nel 2008 (Irlanda, Grecia, Spagna, Francia, Malta) e successivamente sugli altri.
Il problema, in verità più politico che economico, è rappresentato da quel -2% con il quale i tecnici Ue hanno stimato la frenata dell’economia italiana quest’anno. «Prendiamo atto» delle nuove previsioni della Commissione europea, ha affermato Tremonti. Una cifra che «penso recepiremo».
Tuttavia, la discontinuità che rende questa crisi difficilmente decifrabile suggerisce di considerare ogni previsione con beneficio di inventario. Per questo motivo il ministro ha ribadito una sua personale convinzione: attualmente le stime sono più che altro «ipotesi, congetture». «I meccanismi di previsione avevano un senso nella normalità - ha commentato - ma ora il mondo è radicalmente cambiato. E se uno è obbligato a fare le previsioni, crederci è fuori del mondo». Insomma, non c’è nessun Mosé a scendere dal monte Sinai con le «tavole del Pil» perché «in un mondo che sta cambiando di continuo chi può dire che nel 2010 cresceremo e di quanto cresceremo?».
Certo, quel -2% non era giunto inaspettato. «Bruxelles ce lo aveva già comunicato da almeno dieci giorni. Noi andiamo su numeri di consenso - ha argomentato - e per questo prima di presentare il Programma di stabilità abbiamo aspettato le nuove previsioni della Commissione Ue». Allo stesso modo, la crudità della cifra non giustifica psicodrammi. «Non è che uno lo contesta. Significa tornare al 2005». Anche Bankitalia aveva fornito la stessa stima e Tremonti aveva obiettato che non si trattava di un ritorno al Medioevo.
Non è quindi il caso di invocare improbabili «stimoli» pubblici per i consumi e per gli investimenti giacché la crisi ha origini finanziarie.
«Se uno ha un attacco di cuore, non gli curi le gambe», ha rilevato.
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