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La Turchia sospesa tra Papa ed Europa

Viaggio nelle contraddizioni di un un Paese laico ma islamico che in pochi giorni si gioca il futuro

Marcello Foa

In una decina di giorni la Turchia mette in gioco gran parte del proprio futuro. È un Paese che, come noto, chiede di essere ammesso alla Ue, ma che difficilmente può essere considerato davvero europeo. Perché islamico mentre la Ue è cristiana? Senza dubbio ed è per questo che la maggior parte dei cittadini dell’Unione è contraria all’adesione di Ankara. Ma ridurre tutto a una questione religiosa è fuorviante: la Turchia di oggi è un Paese che racchiude tendenze, identità, ambizioni diverse e, soprattutto, in contraddizione tra loro. Più conosci la Turchia e più sei disorientato dai suoi tormenti, dalle sue tante, laceranti anime. Eppure il momento è cruciale. La visita del Papa, che inizia martedì, rappresenta un test decisivo sulla tolleranza e la libertà religiosa; a metà dicembre il vertice della Ue potrebbe decidere di sospendere i negoziati se Ankara si ostinerà a vietare porti e aeroporti alle merci provenienti dalla parte greca dell'isola divisa di Cipro. Ecco, in dieci punti, una guida per orientarsi in una realtà tanto complessa.
1) Un Paese laico...
Il 99% degli abitanti è musulmano e Istanbul è l’antica capitale ottomana. Ciononostante, contrariamente agli altri Paesi islamici, la religione ha un’influenza marginale. Merito di Kemal Ataturk, il padre della moderna Turchia, che negli anni Venti decise la secolarizzazione della società e la rottura netta con le tradizioni del passato: impose una nuova lingua, ricorrendo all’alfabeto latino epurato dalle influenze arabe e persiane, ma soprattutto una nuova identità nazionale. Il Paese divenne nazionalista, a imitazione dei regimi europei dell’epoca, e al contempo si lasciò sedurre dalla modernità. Quel presidente ancor oggi venerato avviò il processo d’industrializzazione, sancì la separazione tra Stato e Chiesa, revocò il venerdì come giorno di riposo optando per la domenica. Da allora il Paese non è più tornato indietro.
2) ...con un governo islamico
Eppure la Turchia secolare oggi è governata dal partito Giustizia e libertà che rivendica la propria identità musulmana. Nulla a che vedere con i fondamentalisti: il primo ministro Erdogan dice di ispirarsi alla Democrazia cristiana e alla Cdu tedesca ovvero a modelli in cui il riferimento religioso, sebbene esplicito, non è preponderante. E tiene a presentarsi come un riformista, peraltro con buone ragioni: è stato lui ad accelerare il processo di liberalizzazione più volte richiesto dalla Ue e dal Fondo monetario internazionale. Ma quando si considerano altri parametri, in particolare le riforme interne, il quadro è meno netto. Erdogan ha proposto leggi più «musulmane», ad esempio sul velo, che è vietato negli edifici pubblici, e il Parlamento le ha votate; ma questi tentativi si sono arenati sui veti del presidente Sezer e dalla Corte suprema. Dopo quattro anni di governo islamico, la laicità dello Stato è intatta. Tuttavia è continuato un processo di islamizzazione strisciante, promosso proprio da Erdogan, che ha incoraggiato le amministrazioni locali a proibire il consumo di bevande alcoliche, ha ritoccato i testi scolastici, e ha piazzato nei posti chiave dell’Amministrazione funzionari che hanno mogli che indossano il velo. Il sospetto è che il suo progressismo laico sia contingente e che in realtà ambisca a rendere sempre più coranica la repubblica forgiata da Ataturk.
3) Il ruolo dell’esercito
Che cosa impedisce a Erdogan di procedere più speditamente? L’esercito, che è il garante supremo della Costituzione e, soprattutto, della secolarità. L’influenza delle Forze armate è di gran lunga superiore a quello di qualunque altro Paese occidentale. Nel 1971 e nel 1980 hanno assunto direttamente il potere, molte altre volte hanno esercitato pressioni decisive sui governo, come nel 1997 quando costrinsero alle dimissioni l’allora premier musulmano Erbakan. Sono loro a vegliare, anzi a vigilare, sulla democrazia turca; a impedire derive populiste islamiche o comunista. Sono molti a pensare che senza gli uomini in divisa il Paese sarebbe già stato inghiottito dall’Islam fondamentalista. Ma talvolta i militari hanno interpretato in modo troppo energico il proprio ruolo. La storia di questo Paese è segnata da violenze arbitrarie, repressioni ingiustificate, compiacenti tolleranze nei confronti di gruppi paramilitari nazionalisti. La situazione è migliorata nell’ultimo decennio, ma le violazioni dei diritti umani restano al di sopra della media europea. E il fanatismo nazionalista inquietante.
4) Curdi e armeni
In ogni Paese ultrapatriottico i rapporti con le minoranze sono spesso difficili, in questo caso drammatici. Ancora oggi i turchi non riconoscono le proprie responsabilità nel genocidio degli armeni perpetrato nel 1894-96 e nel 1915-16. E non ammettono nemmeno che esista una questione curda: per loro i rappresentanti di questa etnia, pari a circa il 20% della popolazione, sono semplicemente turchi e le loro rivendicazioni irricevibili, anche nelle forme più ragionevoli. Da decenni Ankara reprime nell’Anatolia sud-orientale quello che considera il terrorismo curdo.
5) I limiti alla libertà d’espressione
In Turchia esiste la libertà di stampa, ma a condizione di non offendere l’identità nazionale, come recita l’articolo 301 del codice penale. Parlare dell’Olocausto armeno può costare il carcere, criticare Ataturk anche. Fino a qualche anno fa il governo riusciva così a mettere a tacere i giornalisti scomodi. Ora accade meno di frequente: le pressioni della Ue hanno indotto la Magistratura turca ad un’applicazione più tollerante della legge. Le denunce per mancato rispetto della «turchicità» continuano ad essere numerose, ma in sede istruttoria gli imputati vengono quasi sempre prosciolti, come è accaduto al Nobel per la letteratura Orhan Pamuk. Bruxelles vorrebbe l’abrogazione di quella norma, ma il governo, d’intesa con l’esercito, non ci sente.
6) I diritti delle donne
In teoria la parità tra i sessi è assoluta: di fatto il ruolo delle donne è ancora assai limitato. Poche lavorano e rare sono coloro che riescono a raggiungere posizioni dirigenziali elevate. Il Paese ha due volti: quello aperto e progressista dei grandi centri urbani, come Istanbul e Ankara, dove le ragazze non indossano il velo e seguono uno stile di vita simile al nostro; e quello chiuso e arretrato delle periferie e delle campagne, dove la maggior parte delle donne indossa il velo ed è scarsamente istruita. In certe zone a prevalenza curde, il 40% della popolazione femminile è analfabeta.
7) Le tradizioni «medievali»
La necessità di adeguarsi ai parametri dell’Unione europea ha costretto il governo turco a bandire consuetudini di chiara origine medievale. Oggi il crimine d’onore è un reato, così come lo stupro, anche domestico. L’applicazione della pena capitale è stata sospesa. Tuttavia nelle zone più arretrate i divieti non sono sufficiente a impedire le barbarie. Sui giornali turchi sono frequenti le notizie di ragazzine minorenni uccise da fratelli o padri per lavare l’onta di un parto fuori matrimonio. Di recente a Van, nell’est del Paese, una ragazza di 21 anni, rimasta incinta dopo aver avuto un rapporto con un cugino, è stata salvata da una ginecologa, che, affidandola alla polizia, l’ha sottratta alla vendetta dei familiari. Quella dottoressa ora viene salutata come un’eroina: e questo è più che sufficiente a provare l’arretratezza di ampie zone della Turchia rurale.
8) La rinascita economica
All’inizio del nuovo millennio il Paese era sull’orlo del crac, ora viaggia a ritmi di crescita del 6-7% all’anno, con punte del 9,9% nel 2004. Il reddito medio pro capite resta basso, pari 4710 dollari all’anno, ma le recenti riforme strutturali hanno generato una domanda interna esuberante, di cui tra l’altro hanno beneficiato gli investitori esteri. L’Italia è tra questi: siamo al terzo posto tra i Paesi fornitori con 7,5 miliardi di dollari e l’interscambio commerciale si è chiuso con un avanzo di due miliardi di dollari. Sono operative oltre 500 aziende italiane con investimenti diretti pari a 3,5 miliardi di dollari. La Turchia non ha risolto tutti i suoi problemi: il debito continua ad essere molto alto, l’inflazione è al 9,9%, il doppio dell’obbiettivo fissato dal governo, e la disoccupazione oscilla tra il 9 e il 10%. Ma la comunità internazionale, e in primo luogo il Fondo monetario, è molto ottimista sulle prospettive del Paese.
9) L’Ue, le ragioni a favore...
Innanzitutto: la Turchia è in Europa? La questione è irrisolta. Tendenzialmente si considera che il canale del Bosforo segni il confine con l’Asia; dunque solo una piccola parte del Paese sarebbe davvero europea. Ma al di là delle questioni geografiche va ricordato che a lanciare l’idea di un’adesione alla Ue sono stati gli Usa, negli anni Novanta; fondamentalmente per ragioni strategiche. Dal 1951 la Turchia è un membro affidabile della Nato e Washington ritiene che sia opportuno rendere permanente l’ancoraggio all’Occidente, in un’area del mondo cruciale ma molto volatile. L’ingresso nell’Unione era lo strumento che, secondo Clinton, avrebbe permesso di raggiungere questo scopo, che peraltro sarebbe servito anche come argine al dilagare dei fondamentalisti islamici. A favore del sì ci sono considerazioni energetiche - da questo Paese passano (o passeranno) diversi, importanti oleodotti - ed economiche: la Turchia rappresenta un mercato da 73 milioni di consumatori e grazie al basso costo della manodopera è interessante anche a fini produttivi. Infine occorre valutare il fattore demografico: l’ingresso della Turchia, che ha una popolazione giovanissima con un’età media di 28 anni, consentirebbe di contrastare il rapido invecchiamento di quella europea.
10) ...e quelle contro
L’argomento più persuasivo riguarda l’identità e le radici culturali dell’Unione europea: i venticinque Paesi membri hanno un passato molto diverso, ma oggi presentano caratteristiche comuni. Tutti hanno origini cristiane, tutti hanno saputo superare le contraddizioni del passato e accettano codici comuni di comportamento, incentrati sulla libertà religiosa e politica, sulla tolleranza, sul rispetto dello stato di diritto. Sono Paesi progrediti non solo nominalmente, ma di fatto. La Turchia, erede dell’impero ottomano, non è un Paese cristiano, bensì islamico, e il suo processo di modernizzazione non può certo considerarsi concluso, per l’influenza dell’esercito e soprattutto per l’arretratezza di ampie regioni del Paese. Le radici, insomma, non sono comuni. Chi è contrario all’adesione fa notare che se davvero dovesse entrare, tra dieci o quindici anni, la Turchia diventerebbe il Paese più popoloso della Ue con circa 90 milioni di abitanti e conterebbe troppo all’interno della Ue: insomma destabilizzare i già fragili equilibri tra i Paesi membri. C’è chi teme un’invasione di immigrati all’indomani del via libera e chi, invece, un impoverimento della Ue, perché Ankara avrebbe diritto di beneficiare degli stessi sussidi accordati ai Paesi più poveri; dunque costerebbe troppo. Infine c’è chi ritiene, come il padre della Costituzione europea Valéry Giscard d’Estaing, che in questo momento la Ue abbia bisogno innanzitutto di rinsaldare i legami comuni e che pertanto non ci sia spazio per un allargamento, soprattutto se così traumatico. Lui, come tanti altri leader europei, preferisce percorrere la strada della partnership privilegiata.
marcello.

foa@ilgiornale.it

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