Alessandro M. Caprettini
nostro inviato a Bruxelles
Si sgola al limite della commozione Jean Claude Juncker nel momento dell'addio invitando gli europeisti «a farsi avanti» in quest'ora drammatica. Più pacato nei toni, ma anche lui profondamente allarmato, Josè Manuel Durao Barroso spiega come senza il bilancio «si rischia la paralisi» con effetti devastanti per i nuovi 10.
Dovrebbe essere un momento solenne quello del cambio della guardia al vertice dell'Unione Europea, specie dopo i due violenti choc delle bocciature referendarie e del fallimento del summit del 17. Ma nell'emiciclo al terzo piano del megalite europarlamentare saranno appena una ottantina ad ascoltare. Su 770 eletti. Proprio al termine del «resumé» del suo semestre, fitto di puntate polemiche contro Blair ma anche contro l'egoismo olandese, il premier del piccolo Granducato, si toglie l'ultimo sassolino dalla scarpa. «Io le carte le metto in tavola, non volevate forse la trasparenza? - dice in replica a chi l'ha visto forse un po' timido davanti ai supercolossi che gli hanno bloccato qualsiasi margine di manovra - e sono qui a discutere. Ma il Parlamento dov'è?».
Già. Dove sono gli eurodeputati che solo lo scorso autunno, nella bocciatura di Buttiglione videro «la crescita politica del ruolo dell'Europarlamento»? Che ha da dire il socialista spagnolo Borrell, presidente dell'organismo, che partecipa ad ogni summit e ad ogni conferenza, ma che non è evidentemente capace di tenere a bada i suoi neanche in momenti delicati come questo? La co-presidente dei verdi Monica Frassoni lo accusa di limitarsi a far da regista a «talk-show» che non portano a nulla. Altri, una volta usciti, ammettono che lo spettacolo non è stato dei più decorosi.
Forse oggi sarà diverso: arriva Tony Blair per presentare il suo programma d'azione e a sinistra affilano le lame, nonostante i suoi laburisti siedano da tempo fianco a fianco con i socialisti di altri 25 paesi. E comunque la consolazione sarà magra: val più una contestazione (annunciata) che il grido di dolore di un vecchio europeista come Juncker il quale si affanna a far sapere come «la mia generazione non può sfasciare il lavoro di chi ci ha preceduto». Lo scoramento è tanto, anche perché nessuno intravede una via d'uscita mentre si moltiplicano le voci d'allarme e in quanto ognuno tira l'acqua al suo mulino. Barroso ad esempio ha elogiato il lavoro di Juncker, ma gli ha anche detto che è stato un colossale errore il suo accettare la riduzione a poco più dell'1% della percentuale del Pil che ogni paese versa ai bilanci comunitari - come preteso da Parigi, Londra, Berlino, Vienna, Stoccolma e l'Aia - perché proprio per via dei tagli si sono penalizzate le politiche per l'innovazione, la scienza, la tecnologia poi invocate da Blair per giustificare il suo rifiuto.
Il premier britannico cala oggi nella sede dell'Europarlamento che non ama granchè. Sa che lo attendono momenti caldi, ma dicono pensi di procedere come uno schiacciasassi: non passa giorno ormai, del resto, in cui non interviene sull'Europa. Di ieri una nuova puntata alla Camera dei Comuni ed uno scritto per il tedesco Bild, in cui riafferma come gli inglesi siano prontissimi a pagare di più e anche a rinunciare al loro contestatissimo sconto («Ma negli ultimi 10 anni - precisa Blair - abbiamo pagato lo stesso due volte e mezzo in più tanto dell'Italia che della Francia...»), in cambio però di una revisione del bilancio. Ricerca, tecnologie, scienza, formazione. «Bisogna investire nel lavoro e non sovvenzionare con 2 euro al giorno le vacche europee!». Smentisce ancora, l'inquilino di Downing Street di avere in mente una Europa poco attenta al sociale e molto al mercato come l'altro giorno l'ha dipinto anche il cancelliere Schröder. «L'Europa - tiene a puntualizzare - è molto di più di una zona di libero mercato. I cittadini vogliono lavoro, ma anche sicurezza e difesa dell'ambiente. La Gran Bretagna è sicuramente per una Europa sociale, ma che corrisponda al mondo d'oggi e non resti ancorata al passato».
Dice infine Blair che s'impegnerà per cercare una intesa sul budget. Juncker è diffidente: anzi, lo sfida ad entrare sul terreno della concretezza. Barroso l'avverte che sarà difficile rimuovere una Pac su cui solo due anni fa c'è stata l'unanimità dei consensi.
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