Valeria, Francesca, Laura sulla rotta Roma-Madrid

Marini, Morante e Neri tra le nostre dive dirette da registi del Paese amico

Valeria, Francesca, Laura sulla rotta  Roma-Madrid

Pedro Armocida

«España es diferente», recitava così uno slogan governativo agli inizi degli anni Sessanta per incoraggiare il turismo straniero in Spagna. Una diversità che tutt’ora esiste, caratterizzata da un mirabile esempio di modernizzazione a cui molti in Europa guardano con una punta d’invidia. Storicamente tra la cultura italiana e quella spagnola c’è sempre stata una corrispondenza d’amorosi sensi scambiata spesso, ingenuamente, per una comunanza filosofica e sociale. Della serie siamo mediterranei, stesso popolo stessa razza. Non è così, non lo è mai stato e non c’è neanche bisogno di scomodare pensatori come Miguel de Unamuno per una conferma. Anche se un’attrazione fatale ha fatto sì che, ad esempio, nel campo cinematografico i due diversi modi di produrre si compenetrassero perfettamente. Il caso più eclatante, e fino ad oggi insuperato, è quello del genialoide Marco Ferreri che, in tandem con il corrosivo scrittore spagnolo Rafael Azcona, ha realizzato due film, El cochecito e El pisito, propri d’un certo modo di vedere e vivere la vita degli spagnoli. Molto meno riuscita la recente operazione di Gabriele Salvatores che nella modaiola Ibiza ha girato il melodrammatico Amnèsia non cogliendo pienamente gli aspetti anarchici e libertari dell’isola delle Baleari.
Un'operazione inversa però non è mai avvenuta se escludiamo l’incursione, assolutamente stracult, di Juan José Bigas Luna che in Bambola utilizzò una desnuda e ridicola Valeria Marini titolare di una pizzeria nel Comacchio. Il regista catalano disse di lei: «Valeria? È come un gamberone, chiaro, rosaceo, di quelli che succhi dalla testa e che hanno quel sapore dolce e assieme salato». Non si è mai capito se fosse un complimento. Negli anni ’50 in Spagna sono stati girati numerosi film debitori del nostro neorealismo, si pensi alle prime opere di Bardem e Berlanga, soprattutto dopo due importantissime Settimane del cinema italiano svoltesi a Madrid nel 1951 e nel 1953 che consentirono di vedere i capolavori del nostro cinema sino ad allora proibiti.
Ma, da un punto di vista tematico, è davvero difficile trovare dei minimi comuni denominatori. Nemmeno la straordinaria parabola di Pedro Almodóvar, molto amato anche da noi, è riuscita a portare del vento nuovo nella nostra cinematografia più volte accusata di occuparsi esclusivamente delle tre camere e cucina. Solo il partenopeo Pappi Corsicato, soprattutto per l’uso del colore, l’ultimo Silvio Soldini, il cui direttore della fotografia Arnaldo Catinari non ha mai nascosto l’ispirazione almodovariana per le tinte accese di Agata e la tempesta, e Le fate ignoranti di Ferzan Ozpetek possono far pensare a quel cinema.
Tra gli aspetti più significativi della corrispondenza tra le due cinematografie c’è però quello che riguarda i continui scambi degli attori. In chiave prevalentemente folcloristica dalla Spagna in Italia, a dimostrazione di quanto sia provinciale la nostra esterofilia. È il caso di Pieraccioni che ha dapprima scoperto Natalia Estrada facendole ballare il flamenco, e poi Vanessa Lorenzo e Marjo Berasategui, mentre più seriamente, Sergio Castellitto per Non ti muovere ha fatto recitare, senza doppiarla, una straordinaria e straniante Penelope Cruz. In Spagna Francesca Neri è stata utilizzata da Bigas Luna che l’ha lanciata nello scandaloso L’età di Lulù, da Carlos Saura in Spara che ti passa e da Almodóvar in Carne tremula.

Anche Laura Morante ha avuto il suo battesimo spagnolo, otto anni fa nello scabroso Lo sguardo dell’altro di Vicente Aranda, nel ruolo più svestito della sua carriera. Come è successo per Valeria Marini e Francesca Neri. Che le attrici italiane diventino più disinibite in terra iberica?

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