È tutta questione di «menzile», cioè di soldi da dare a fine mese all’ex-moglie con prole a carico e siccome stiamo a Roma (la borza, il zugo), quella «z» fa la differenza nello spassoso Posti in piedi in paradiso, di e con Carlo Verdone. Ovvio che non è Kramer contro Kramer questa commedia all’italiana, dove si ride amaro e di cuore con uno staff di attori brillanti: Pierfrancesco Favino come giornalista di cronaca rosa; Marco Giallini starring un simpatico mascalzone di battuta pronta («Te l’hanno detto? Ci hai il metano in bocca», a una siciliana con l’alitosi, che ci prova con lui, stallone a pagamento) e Verdone alias nostalgico rivenditore di dischi vintage sono padri separati e fanno quadrato intorno al problema dei problemi, il divorzio. Visto da lui, una rovina: perciò i tre disgraziati convivono in una stamberga che trema al passaggio della metropolitana. Il frigo è vuoto come le tasche, però ex-mogli e figli vanno e vengono in stile Grand Hotel e sempre per lo stesso motivo: i soldi. Visto da lei, il divorzio è fattore scatenante per farsi carogne. E rompere: dai letti ai denti ai cosiddetti, le signore non fanno altro, risultando odiose e rapaci. Eccezion fatta per la svitata cardiologa Micaela Ramazzotti (nella foto), che pur simpatica, come figura femminile, combina guai per troppa emotività. Ma c’è un rimedio a tanto male di vivere: i figli, migliori dei padri, salveranno il futuro.
Carlo Verdone, stavolta mette il dito sulla piaga dei divorzi: troppo lunghi e troppo costosi, da noi, tanto che andrà cambiata la legge. Qual è il suo pensiero, in proposito?
«Non ho voluto far pendere il film dalla parte maschile, descrivendo le donne come carnefici. Anche se le decisioni prese dai giudici sono molto severe nei confronti dei padri. Volevo fare la cronaca di trenta giorni di convivenza fra tre sconosciuti, seguendo le situazioni che si sviluppavano via via».
Sta di fatto che qui padri separati battono madri separate tre a zero. È forse di parte?
«No: mi sono basato su migliaia di lettere di padri separati che ho ricevuto, dalle quali si evince che il dolore più grosso è poter vedere poco e per poco tempo i propri figli. Questo, più che il problema economico, conta. C’è una nuova categoria di poveri, però, sulla quale persino Corrado Passera ha promesso che indagherà e farà qualcosa».
Come si è regolato, scrivendo il copione, per affrontare un tema così grave in modo leggero?
«Mirando all’equilibrio. Il cast, regolato da me, ha avuto un gran senso della misura, pur improvvisando battute e gag. Però occorreva circoscrivere le parti comiche allo scontro della convivenza tra sconosciuti: un preciso, un depresso e un cialtrone. Bisognava capire dove far ridere e dove no».
Il finale, con i figli che mostrano comunque amore verso padri così squinternati,non è un po’ loffio?
«Non è un finale paravento: è sincero. Si delega alle nuove generazioni l’andamento del futuro. Anche i figli sono in difficoltà: una resta incinta a 18 anni, un altro si laurea, ma poi chissà che farà. Però loro, i figli, sono più maturi dei loro genitori: hanno un’etica forte».
Come la diciottenne, nel film figlia sua, che decide di non abortire?
«Quando la ragazza dice: “Vogliamo tenere il bambino” anche a nome del suo ragazzo, un coetaneo figlio di un cassintegrato della Renault, non è una cosa politica, in senso antiabortista».
Insomma, Posti in piedi in paradiso dovrebbe far riflettere, più che svagare?
«Ho un sogno: se questo film potesse far riflettere le coppie su quanto sono inutili le guerre in tribunale, che arrecano danno anche ai figli e non soltanto ai genitori. Sarei felice. Loro, i figli, nel finale ci sono: ai giovani delego il futuro».
E alle donne?
«Loro sono più forti degli uomini, sebbene siano fragili anch’esse. I maschi? Una categoria che ha deciso di non decidere».
È perché crede nelle generazioni future che, ultimamente, ha preso a girare commedie corali con attori giovani?
«In questa fase le situazioni corali mi tentano sempre più.
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