Caro Granzotto, in riferimento alla vicenda della deposizione di Romolo Augustolo, ultimo imperatore, lei conferma la versione di Montanelli, precisando che i libri di Indro furono passati al microscopio dai cattedratici invidiosi del successo di un magistrale divulgatore che osava scrivere di storia con la speranza di trovare imprecisioni e svarioni, ma inutilmente, perché nessuno lo colse in fallo. La sua affermazione trova riscontro nella compiaciuta introduzione dello stesso Montanelli al volume LItalia dei Comuni dellottobre 1966: «Questo successo, lo sappiamo, indigna parecchia gente: quella interessata al mantenimento del monopolio. Essa ci accusa di superficialità e di faciloneria, ma non è mai riuscita ad indicare, nei nostri libri, uninesattezza. Dobbiamo dire che alcuni degli stessi insegnanti, specie di scuole medie, ce ne hanno dato atto... Quanto agli studenti, ne conosco qualcuno che, avendo preparato lesame di Storia sui nostri testi e avendolo detto, è stato bocciato. Ma ne conosciamo molti di più che, avendo preparato lesame di Storia sui nostri testi, ma senza dirlo, sono stati brillantemente promossi». Che tristezza il conformismo culturale, aggiungo io. Tuttavia, lei afferma anche che la mitica imprecazione del generale Diaz davanti alla mappa, su cui cercava inutilmente Vittorio Veneto, è una leggenda messa in giro da Montanelli, un maestro nel giocare di carambola fra il vero e il verosimile. Mi sorprende allora che gli illustri cattedratici se le siano lasciate sfuggire. Evidentemente queste carambole devono essere «molto sottili». Non è che nella sua ampia conoscenza di fatti minori, può regalarmi qualche altro gioco di carambola contenuto nei testi storici montanelliani?Edoardo Musicò - e-mail
E se sul generale Diaz avesse ragione Montanelli? (E cioè, per il lettore che avesse perso le puntate precedenti, che mentre allHotel Trieste di Abano Terme, sede del Comando Supremo, sudivano echeggiare le celebri parole del Bollettino della Vittoria, chino sulla carta geografica e strizzando i suoi occhi miopi il generale Diaz borbottava: «Ma sto Vittorio Veneto, addo c... sta?»). Indro scrisse daver letto di quellepisodio in una lettera di Ugo Ojetti («Quella lettera lho vista coi miei occhi», confermò più e più volte), che per comprensibile pruderie patriottica fu in seguito occultata. E Ojetti era allora ufficiale dello Stato Maggiore, incaricato, oltreché della salvaguardia dei beni artistici, di mettere «in bella» i comunicati dal fronte firmati da Cadorna e quindi da Diaz. Uno di casa, dunque, allHotel Trieste. Pezze dappoggio alla mano, il generale Luigi Gratton ci ha rivelato, però, che il 4 novembre del 18 Ojetti non era ad Abano, bensì a Trieste, al seguito del generale Petitti di Roreto. Ma di amici e di informatori, al Comando Supremo, ne contava più di cento e non è escluso che qualcuno di questi gli abbia voluto far omaggio del gustoso aneddoto, pane per i denti dellOjetti giornalista, scrittore e memorialista. In ogni modo, caro Musicò, quando accennai alle carambole di Montanelli fra il vero e il verosimile, non mi riferivo alla sua produzione storica (e chissà le convulsioni dei cattedratici, nellimbattersi in questo aggettivo riferito a Indro), ma a quella giornalistica. Non cè lo spazio per elencare esempi, ma senta questa: lei sa del grande successo degli «Incontri» di Montanelli. Be, cera qualcuno che glie ne contestava la veridicità. Giovanni Ansaldo, ad esempio («Gli Incontri le hanno creato - gli scrisse - una saldissima reputazione di scrittore molto inesatto e le tirano addosso lettere di rettifiche, sdegnose smentite, bronci, rancori»).
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