Il vero Welles è «L’infernale Quinlan» non il sopravvalutato «Quarto potere»

Nella rassegna proiettati anche «Tepepa», «Frenesia del delitto» e «Qualcuno da amare»

Maurizio Cabona

I Festival evocano soprattutto l’evocato. Anche la locarnese retrospettiva di Orson Welles non offre del nuovo e offre poco di vecchio che non fosse stato già svecchiato. Il regista-attore americano è infatti l’unico grande dai piccoli incassi a essere molto disponibile in dvd (Columbia, specialmente). Perché Welles, allora? Per i novant’anni dalla nascita e i venti dalla morte. E perché non per gli ottantanove dal primo dente e i cinquantacinque dal primo film? C’è forse bisogno di giustificare la scelta perché non sembri tale, ma una necessità.
La rassegna ticinese è cominciata giovedì scorso - che fantasia - con Quarto potere; e - che fantasia - finirà con la replica di Quarto potere sabato prossimo. Ma questo film è davvero l’alfa e l’omega della storia del cinema? Certo è l’alfa e l’omega della resistibile ascesa di Welles, chiamato a Hollywood, solo ventitreenne, dalla Rko di Joseph Kennedy (padre di John e Robert). Era troppo presto: la hybris spinse Welles a sfidare il declinante Randolph Hearst. Ora Welles era il giovane genio, ma Hearts era colui che aveva fatto non solo Hollywood, ma anche molto di Los Angeles e buona parte degli Stati Uniti. Si sa come finì. Lo sberleffo di Welles gli si ritorse contro, come uno sputo lanciato in verticale. E in più - contrappasso per Welles e i wellesiani - ogni ricordo di Welles si muta necessariamente in un ricordo di Hearst. Il cui declino sta al declino di Welles come quello di un gigante a quello di un nano. Almeno per chi vive di realtà e non di cinema.
Perché andare a Locarno, allora? Per vedere, mercoledì, il vero apice dei film di e con Welles: L’infernale Quinlan, prodotto (e interpretato anche) da Charlton Heston, dove l’amarezza del vinto, che era ormai Welles, combacia con l’ebbrezza del nicciano (di sinistra) che era sempre stato. O magari andare a Locarno per vedere un Welles comprimario, quanto solitario y final, nel magistrale Tepepa di Giulio Petroni, western italiano molto politico. E se proprio non volete espatriare, compratevi i dvd (Universal il primo; Alan Young il secondo, presto in edicola con il settimanale Oggi). Le interpretazioni del Welles maturo (quarantenne nel 1955, era grasso e pareva vecchio) sono infatti il lato più interessante della rassegna ticinese. È Welles a interpretare - non a essere - il regista nel «film nel film» al centro dell’episodio pasoliniano di Rogopag, visto giovedì scorso. È Welles re Saul nel Davide e Golia di Ferdinando Baldi e del francese Richard Pottier, che si vedrà mercoledì prossimo. È Welles l’avvocato difensore che strappa alla morte gli imputati in Frenesia del delitto, che si vede oggi, questa sì opera di un regista ingiustamente dimenticato: Richard Fleischer.

È Welles il padre in conflitto col figlio (Anthony Perkins) in Dieci incredibili giorni di Claude Chabrol, ed è sempre Welles l’unico a salvarsi in tanto polpettone, che si vedrà mercoledì. È ancora Welles a impersonare se stesso - e ad apparire per l’ultima volta sullo schermo - in Qualcuno da amare del pedante Henry Jaglom, che si vedrà sabato.
Occorre vedere Welles, ma per le ragioni giuste.

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