I quasi 75 miliardi di capitalizzazione polverizzati, la febbre sempre più alta degli spread e l’euro scivolato sotto quota 1,31 dollari sono la risposta, brutale e inequivocabile, data ieri dai mercati all’intesa sul salvataggio dell’Irlanda raggiunta domenica pomeriggio dai ministri finanziari dell’Ue. Una bocciatura senza riserve, attraverso la quale gli investitori hanno rinnovato i timori di un’estensione a Portogallo e Spagna della crisi del debito sovrano. Ed è un verdetto con cui, di fatto, non si riconosce né all’Europa né al Fondo monetario internazionale il potere di impedire nuovi scossoni tali da squassare le stesse fondamenta dell’Unione monetaria.
Ai leader europei non è insomma bastato esibire nel fine settimana a Bruxelles una ritrovata unità d’intenti e mettere sul piatto 85 miliardi per tappare le falle di Dublino, per far virare su toni più neutri il pessimismo dei mercati. A parte un timido tentativo di recupero all’inizio della mattinata, l’andamento degli indici ha segnalato una tempesta crescente nel corso della giornata. Quando nel pomeriggio le vendite hanno cominciato a fioccare, le perdite si sono dilatate fino ad assumere proporzioni allarmanti soprattutto sui titoli bancari, il cui indice di riferimento europeo è collassato del 3%; ben peggiori sono stati però i ribassi, superiori al 4%, che hanno colpito titoli come Intesa Sanpaolo, Ubi e Banco Popolare. Crolli rispetto ai quali il -2,67% di Piazza Affari, la peggiore nel Vecchio continente assieme a Parigi (-2,4%) e Madrid (-2,3%), potrebbe apparire sopportabile se non fosse che, dall’inizio dell’anno, il listino di Milano ha lasciato sul terreno oltre il 17%.
Anche Wall Street (-0,51% a un’ora dalla chiusura) non sembra del resto convinta dell’efficacia del bail out di Dublino: «È di certo un salvataggio, ma uno di quelli che impone costi nel lungo termine. Al piano il governo irlandese partecipa con una quota limitata: questo tipo di salvataggio - commentano gli analisti - non è ben visto dal mercato». La sensazione, in ogni caso, è che la speculazione non abbia mollato la presa sulle potenziali prossime vittime. I governi di Portogallo e Spagna hanno più volte smentito sia di aver lanciato un sos all’Europa, sia di aver bisogno di un aiuto finanziario, ma gli spread sui titoli di Stato dei due Paesi iberici rispetto al Bund tedesco segnalano tensioni crescenti (270 punti base per la Spagna, 440 per il Portogallo). Anche i Btp soffrono la situazione, con il differenziale di rendimento che ha toccato il picco storico dei 200 centesimi, così come l’euro, sceso ai minimi di due mesi sotto quota 1,31 dollari.
Ciò si spiega con il fatto che «gli investitori restano più concentrati sui rischi di un eventuale contagio della crisi debitoria ad altri Paesi che non sulla situazione interna dell’Irlanda », osserva Valentin Marinov, analista di Citifx. È inoltre probabile che l’assenza di dettagli sulla parte dell’accordo relativa al meccanismo anti-crisi permanente, che entrerà in funzione nel 2014, abbia contribuito a mantenere agitate le acque. Anche perché la decisione di coinvolgere nel fondo i privati «caso per caso», introduce un elemento di aleatorietà poco gradito ai mercati. Insomma, una situazione ancora critica.
Che non viene addolcita dalle stime d’autunno sulla crescita diffuse ieri dalla Commissione Ue, secondo la quale la ripresa si consolida, l’anno prossimo l’occupazione si rianimerà e perfino i deficit pubblici cominceranno a calare ( non così però il debito).
Il Pil dell’euro zona salirà dell’1,7% quest’anno, per fermarsi a un +1,5% nel 2011. Quanto all’Italia,dovrà accontentarsi di un +1,1% sia nel 2010, sia nel 2011, mentre nel 2012 l’espansione sarà dell’ 1 ,4 %.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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