Cultura e Spettacoli

WALLER «La nostalgia è il colore dei miei libri»

«E il cuore non muore quando sembra
che dovrebbe».
Czslaw Milosz

E non mi interessa se a voi non è accaduto, ma io ho pianto quando Clint Eastwood ha fermato il suo pick up sotto la pioggia, e il semaforo è diventato verde e lui se ne è rimasto immobile. E dietro c’era un altro pick up dove Meryl Streep stava attorcigliando le dita alla maniglia della portiera per impedirsi di fare pazzie, con il cuore che le scoppiava nel petto: tormentata dall’indecisione se rimanere nell’Iowa per responsabilità verso marito e figli oppure saltar giù nella pioggia e seguire quel fotografo del National Geographic che, in quel lentissimo istante, le stava proponendo per l’ultima volta e a modo suo - bloccando il traffico - di andare via con lui...
A fine visione, mi trovavo persino irragionevolmente d’accordo con la critica: un film che tutti coloro che stanno costruendo un amore dovrebbero vedere. Che importa se girato con un po’ di maniera! Per fare più luce sulla vicenda, a lacrime asciutte mi procurai il libro da cui il film era tratto, un breve romanzo di una tenerezza disarmante che per tre anni non è mai uscito dalla classifica del New York Times e che inizia così: «Ci sono canzoni che nascono dall’erba punteggiata d’azzurro, dalla polvere di migliaia di strade di campagna».
E questo era tanto tempo fa. E quando ho saputo che Frassinelli mandava in libreria proprio in questi giorni l’ultimo libro di Robert James Waller, autore de I ponti di Madison County, mi sono procurato l’intero archivio stampa su di lui dall’epoca di quell’enorme successo del 1992 a oggi e, per curiosità, ho pesato i faldoni: dodici chili e mezzo di articoli, tra cui molte testimonianze di librai della Florida, della Svezia e del Giappone che raccontavano stupefatti come le copie dei Ponti sparissero dai banchi e non si facesse nemmeno in tempo a riordinarle. Fu uno dei più grandi e misteriosi successi del passaparola. Un romanzo leggenda, un sogno per tutti gli editori. Ma di interviste allo scrittore, nei faldoni, ne ho trovate poche. L’avevo messo in conto: la ritrosia di Waller verso i giornalisti - e la vita salottiera in generale - è leggendaria. Per anni si è sottratto a ogni diretta indagine dei media su di lui e a lungo ha vissuto nel deserto con la moglie, i cavalli, i cieli immensi di un azzurro sconcertante.
Finito di leggere la novità, La lunga notte, una storia di poker e di polverose strade di confine nel Sud degli Stati Uniti, compongo senza speranze il numero di telefono che l’agente di Waller a New York mi ha dato dopo un certo numero di acrobazie diplomatiche. Le sedici e trenta in Italia, le nove e mezza in Texas. La voce all’altro capo del filo ha quella riservatezza gentile tipica di chi si guarda bene dal fare vita mondana. È lui, e mi dice: «Stavo per uscire a pescare trote alla mosca. Non ricordo l’ultima volta che ho fatto un’intervista. Vede, adesso faccio l’economista. Sto scrivendo un saggio che sarà pronto in tre o cinque anni. Lo leggeranno dieci persone. Ma, se vuole, può provare a mandarmi qualche domanda».
Gli ho dunque spedito via e-mail le mie richieste attraverso una catena di contatti-staffetta, poiché sul computer di Waller girano antispam e firewall potentissimi, tanto che i suoi amici preferiscono scrivergli a mano. E nella prima question gli citavo il verso di Czslaw Milosz sul cuore che non muore quando sembra che dovrebbe, e glielo proponevo come epigrafe per tutta la sua opera piena di situazioni parossistiche - un addio, una morte, un tradimento o l’interruzione forzata di un amore - a seguito delle quali i protagonisti dovrebbero schiantarsi dal dolore e tuttavia rimangono in piedi, sopravvivendo in quella dimensione che è la più umana di tutte: la nostalgia. Quando ci siamo risentiti (per oscure ragioni Waller non usa Skype, pur «conoscendolo bene») mi aspettavo soltanto che declinasse l’intervista, e invece ha commentato: «Lei ha ragione a notare che la nostalgia è il colore della mia opera. Sin dall’infanzia il senso profondo delle cose passate e irrecuperabili mi ha inseguito. Forse è qualcosa nelle mie ossa, forse nella mia natura romantica. Mi piacciono le vecchie canzoni, l’idea di lunghi viaggi oceanici, le storie d’amore e i treni che partono nelle sere d’inverno, i cabaret e balli lenti. Una canzone che mi rappresenta è Bilbao Song di Kurt Weill, insieme all’Arioso di Bach e ai suoi Concerti Brandeburghesi. Quando non indosso stivali e jeans, mi piacciono i completi eleganti a tre pezzi, i cappelli di feltro del tipo che andava di moda negli anni Trenta e la musica di Stéphane Grappelli».
Cogliendo al volo questa inattesa disponibilità, ho risposto:
Ecco, io la immaginavo proprio così...
«Ehi, non vuol dire che io passi il tempo a rimpiangere il passato. Il mio lavoro in economia e nella teoria decisionale, per esempio, è indubbiamente moderno. Mi piacciono la difficoltà e l’eleganza delle teorie economiche e della matematica».
Scrittore, fotografo, professore universitario, musicista... Ora economista. A quasi settant’anni si sta ancora rinnovando.
«In realtà faccio sempre la stessa cosa. Mi limito, ogni tanto, a cambiare gli strumenti: il prodotto è quello che chiamo una visione personale».
Ma i suoi romanzi? Non può negare che essere scrittore la caratterizza più che ogni altra sua attività...
«È un hobby. Leggo raramente narrativa. Considero i miei romanzi storie raccontate accanto al fuoco. Piccoli racconti che rispecchiano la mia visione minimalista. Non sono Melville o Faulkner. L’interazione con altri romanzieri è qualcosa di cui non mi occupo e il mio posto nella letteratura americana non riveste per me alcuna importanza».
Ma l’accoglienza che il pubblico le riserva è enorme.
«Prendo sul serio il mio lavoro e i lettori, ma non me stesso. Quelli che si prendono sul serio non hanno mai considerato la vita come un elemento transitorio e di scarsa importanza nell’enorme ambito del tempo e dell’universo. Quando scrissi I ponti di Madison County non pensavo proprio di pubblicarlo. Ne stampai otto copie per altrettanti amici. Uno di loro, con mezzi poco ortodossi, si incaricò di suscitare interesse nell’ambiente editoriale. Oggi è pubblicato in trentotto lingue e ispira produzioni teatrali. Ne sono contento, ma nulla più. A proposito, non leggo mai le critiche: come disse qualcuno, quelle positive ti rendono vanitoso, quelle negative, furioso».
Che ne pensa dei film tratti dai suoi libri?
«Se un autore decide di vendere i diritti di un libro per realizzarne un film, dovrebbe essere sufficientemente adulto da abbandonarlo, incassare l’assegno e cederlo alla visione di altri, senza lamentarsi del risultato finale. Comunque Clint Eastwood ha lavorato bene».
I lettori si sono stupiti che nel suo ultimo libro il tema del gioco d’azzardo, oggi molto di moda, sovrasti la narrazione dei sentimenti. Non credo si tratti di una concessione commerciale.
«Infatti. La lunga notte è stato pensato e abbozzato molti anni prima dell’attuale mania per il poker. La storia mi è venuta di getto come tutte le altre, all’inizio dei Novanta. L’ho finita nel 2004. Non gioco nemmeno a poker».
Ha col denaro un rapporto sereno?
«Non occupa molto i miei pensieri. Sono cresciuto in un ambiente modesto, una cittadina di 900 abitanti nelle pianure del Nord dell’Iowa. In America, però, se si lavora sodo, bene e si acquisisce una buona istruzione, il denaro arriva. Non spendo granché. Anche se forse questo non è vero se parliamo di macchine fotografiche, esche per la pesca, strumenti musicali e di mia moglie, che essendo cresciuta in povertà ha però scarse esigenze finanziarie».
Una way of life per cui lei è famoso...
«Viviamo in una piccola fattoria nella Texas Hill Country circondati dalla natura, e questo comprende un bello stagno a 40 metri da dove sto seduto in questo momento. In giugno terrò un discorso sulle rive dei due fiumi lungo i quali sono cresciuto. Si intitolerà Quello che i fiumi mi hanno insegnato e infatti buona parte di tutto ciò che di buono e saggio c’è in me la devo a loro».
Avverto cortesi segnali di impazienza nella voce di Waller. È davvero un solitario, e mi ha già concesso il tempo di una camminata con sua moglie o di un paio di trote. Si premura di ringraziare i lettori italiani e di rispondere a una mia inutile domanda sull’influenza di Loren Eiseley sulla sua scrittura («Mi ha insegnato che si poteva avere una mente tecnica e un’anima poetica, e che si poteva vivere, pensare e scrivere secondo questo dualismo»). Poi sale sul suo pick up e io sul mio. Diversamente dal film, non piove. Buona pesca, Mr.

Waller.

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