"Se esce qualcosa è la fine" E spunta una frase su Calderoli

Belsito sull’ex ministro: "Dice che vuole il denaro della Tanzania". Nelle intercettazioni tra l’ex tesoriere e la dirigente amministrativa leghista timori per la sorte del partito

"Se esce qualcosa è la fine" E spunta una frase su Calderoli

Milano - «Se esce qualcosa, è la fine». Ecco, la fine è arrivata. La profezia di Nadia Dagrada, dirigente amministrativa della Lega, è del primo febbraio scorso. Parla con Francesco Belsito, l’ex tesoriere del Carroccio. Il crollo è vicino, bisogna correre ai ripari. Ed è in questa corsa sul ciglio del baratro che i due, telefonata dopo telefonata, svelano i segreti di via Bellerio. Dove tutti - ai vertici - sembrano a conoscenza delle alchimie finanziarie di Belsito. Ed è così che la Lega si spacca. Chi vuole fare piazza pulita, e chi cerca di approfittarne. Ci sono Roberto Castelli e Roberto Maroni, che chiedono più volte al Senatùr di azzerare l’amministrazione.

Ci sono il senatore Gianpiero Stiffoni e Roberto Calderoli, neo-triumviro dei lumbard, a cui sarebbero invece arrivate «rilevanti somme di denaro» drenate dai bilanci della Lega. E poi figure di mezzo, tentativi di abboccamenti, politici locali finanziati in cambio di poltrone, affari conclusi o soltanto sognati. Quando il Carroccio sta per andare in pezzi, tenere insieme i cocci diventa la prima preoccupazione. Perché «bisogna fermare Castelli», ed «evitare che faccia i controlli sui conti». E poi, Castelli, «che cazzo vuole?». Allora «tu parla con Calderoli», dice Dagrada all’ex tesoriere. Perché «Roberto è l’unico che rispetto». E lui «non ti tocca».

LA LEGA AFFONDA
La dirigente e Belsito sono con l’acqua alla gola. I bilanci della Lega sembrano ormai ingestibili. «Con uno scandalo del genere - è la conversazione - non è che ci sono i salvatori della patria Maroni e Castelli. La Lega affonda!». E poi c’è il problema dell’ex ministro della Giustizia, che - si legge nelle carte - vuole «verificare la regolarità degli investimenti e dei conti e del bilancio del partito». Castelli, infatti, avvicina anche Stefano Bonet (l’imprenditore veneto che si è occupato degli affari a Cipro e in Tanzania) «per acquisire informazioni sull’operazione». Vengono registrati incontri fra i due a Como, Milano, Roma «per carpire informazioni sull’operato di Belsito e acquisire documentazione sul suo operato». «Vuole fare il salvatore della patria», dice di lui Dagrada, che con l’ex tesoriere cerca di tenere lontano l’ex Guardasigilli dai conti di via Bellerio. Così, i due si guardano attorno.

L’UOMO DI FIDUCIA
Se Calderoli sembra essere uno dei punti di riferimento dell’ex tesoriere per cercare di rimanere a galla nello tsunami che si sta per abbattere su via Bellerio, bisogna impedire a Castelli di fare luce sui bilanci. «Senza giri di parole - dice Dagrada a Belsito - Castelli non ha nessuna esperienza di amministrazione (...), lui non è mai stato amministratore da nessuna parte, ce lo sostituiamo con una persona di fiducia come Gibelli (il leghista Andrea Gibelli, vicepresidente della regione Lombardia, ndr) o se preferisci Alessandri (Angelo Alessandri, deputato del Carroccio). È da vedere, uno dei due». E comunque - si legge in un’altra intercettazione - «con Gibelli ci puoi ragionare, puoi cercare di sistemare le cose».

L’ORO AFRICANO
Belsito e Dagrada (segretaria della Lega) cercano di capire come giustificare le spese «private» sostenute con i soldi del partito. Al telefono, i due fanno l’elenco del denaro girato alla famiglia Bossi. Ma non solo. Anche Calderoli avrebbe avuto accesso libero al «bancomat» di via Bellerio. «Calderoli arriva - sbotta l’ex tesoriere - il casino l’ha fatto lui, dice che vuole i soldi della Tanzania». Difficile, per i due, orientarsi nella contabilità parallela del Carroccio. «Quelli di Calderoli (i soldi, ndr) - si chiede Belsito - come faccio? Come li giustifico?».

LA POLTRONA
Ma non di soli bilanci viveva l’ex tesoriere. La sua carriera - da buttafuori ad autista, fino a diventare il passepartout della cassa padana - si fregia anche di una poltrona nel cda di Fincantieri. E come entra nel board della società? Con una stecca. Una tangente da 50mila euro che avrebbe versato a Francesco Bruzzone (esponente della Lega in Liguria), a sua volta sostenuto economicamente dall’ex tesoriere nelle competizioni elettorali. Poi il rapporto fra i due si incrina. Belsito nel parla al telefono. Il suo interlocutore commenta: «Dopo che l’hai aiutato anche a vincere il congresso che non l’avrebbe mai vinto e biribì e biribò, questo bastardo si chiama fuori, “chi lo conosce Belsito”». «Però - la risposta - i 50mila euro che si è preso per Fincantieri se li è dimenticati!».

GLI INCONTRI
Che la Lega fosse vicina a diventare una mangiatoia per affaristi, sembra emergere anche dalle conversazioni di Stefano Bonet. Che fa di tutto per accreditarsi con i vertici del partito. In più di un’occasione, l’imprenditore che avrebbe gestito per conto di Belsito gli investimenti in Tanzania e Cipro tenta di incontrare Maroni.

«Ti fischiano le orecchie - dice l’interlocutrice, tale Lubiana Restaini - ho appena mandato un messaggio che ti riguarda». «A chi?», chiede il faccendiere. «A Maroni, caro». Nella foga di cercare un gancio, capita anche di affidarsi alla cordata sbagliata.

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