Economia

Bankitalia: per diventare imprenditori la ricchezza non è tutto

Una ricerca di Via Nazionale mette in evidenza la correlazione tra reddito disponibile delle famiglie e tendenza a diventare imprenditori. Maggiore il patrimonio accumulato minore la disponibilità a rischiare.

Non è necessario essere straricchi per metter su un'impresa. Anzi, eventuali difficoltà consentono di aguzzare l'ingegno e sviluppare la propensione imprenditoriale. Lo dice anche la Banca d'Italia in una ricerca pubblicata nella serie «Temi di discussione». Lo studio, effettuato da Silvia Magri del dipartimento di analisi economica strutturale di Via Nazionale, propone un nuovo modello statistico per analizzare la correlazione tra reddito disponibile di una famiglia e tendenza all'auto-impiego.
Il risultato è sorprendente perché al di sopra della soglia dei 12mila euro di risorse finanziarie disponibili è possibile fare impresa. La ricchezza, infatti, diventa un fattore incoraggiante solo se si vi sono distorsioni nel mercato dei capitali, ovvero una stretta alla concessione del credito. Ovviamente contano anche dei fattori empirici come il tipo di occupazione svolta, l'educazione e la propensione al rischio, ma i soldi insomma non sono tutto
La prima tesi infatti sostiene che, una volta accertata la disponibilità e l'abilità all'imprenditorialità, il reddito iniziale non influenza la decisione di «spiccare i1 volo verso l'autoimpiego». Il secondo modello invece mette in stretta correlazione il giro d'affari con le risorse disponibili: più l'imprenditore si arricchisce meno rischia
Utilizzando i dati dell'Indagine sui bilanci delle famiglie della Banca d'Italia la ricerca evidenzia l'effetto di trascinamento verso l'imprenditorialità è meno forte per i nuclei familiari più abbienti, in particolare per quelli con una ricchezza superiore al valore mediano.
Altri risultati possono essere interpretati nella stessa direzione. In particolare, la ricchezza ha un effetto più grande per le famiglie che vivono nelle regioni del paese dove più debole è la cogenza dei contratti di prestito bancario in caso di insolvenza del debitore.

In pratica, chi è più ricco tenderà a rischiare laddove le banche saranno più «comprensive» in caso di difficoltà.

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