Politica

Battisti 3/Si, è inutile fermare il pallone

Ma cosa c'entrano i giocatori? E il primo a vantarsene sarebbe proprio l'ex Pac

Il calcio non c’entra. Hanno detto per anni «fuori la politica dagli stadi» e ora ce la infilano di traverso: perché annullare una partita? Perché cancellare uno spettacolo? Perché rovinare una serata alla gente? Cesare Battisti non può sfregiare anche Italia-Brasile a Londra. Cancellare per ritorsione un match di pallone è la cosa più facile e contemporaneamente impopolare che si possa fare. Si prende la cosa alla quale gli italiani tengono e si punta tutto lì, sapendo che farà rumore, che farà scalpore. Ma la Figc non è la Farnesina, il commissario tecnico non è un ambasciatore, i calciatori non sono consoli. Non sanno neanche chi sia Cesare Battisti: sanno quello che hanno ascoltato al telegiornale e quello che hanno letto sui quotidiani. La diplomazia e la giustizia sono cose troppo serie per lasciarle gestire a undici ragazzi in calzoncini e il calcio è una cosa già troppo complicata per dargli pure una responsabilità politica. Abbiamo relazioni economiche con il Brasile, ma non le abbiamo sospese. Così non possiamo sospendere le relazioni sportive. Altrimenti qual è il passaggio successivo? Mettere fuori rosa Kakà, Adriano, Julio Cesar, Ronaldinho? Certo, è un paradosso. I club non rappresentano una nazione. La Nazionale sì. Allora dicono che la bandiera, dicono che la maglia azzurra simboleggia il Paese e quindi lo Stato. Dicono che in questo momento non ci sia nulla di amichevole tra Italia e Brasile e quindi questa partita è fuori luogo e fuori tempo. Se così è allora non dovremmo giocare con le Nazionali di stranieri che vengono in Italia e uccidono, stuprano, rapinano. Invece no. Troppo facile dire: «Boicottiamo la partita». Chi ci rimette? Il Brasile? Battisti? Sapendo quanta gente segue l’Italia, i danneggiati sarebbero i tifosi, saremmo noi. Battisti se ne farebbe soltanto un vanto, gli daremmo la possibilità di rimettersi quel suo ghigno beffardo sulla bocca, quell’espressione tipo: «Ho fermato persino il calcio».

Lo sport è andato avanti durante le guerre, abbiamo giocato incontri ufficiali con Nazionali di Paesi nemici, si è giocata la Champions League anche l’11 settembre, abbiamo festeggiato alla cerimonia inaugurale delle Olimpiadi di Pechino: avevamo gli atleti tutti in fila con la fotocamera pur sapendo che, a pochi chilometri da lì, c’erano condannati a morte che aspettavano di essere uccisi dal governo che ospitava i Giochi. E per restare a Cesare Battisti, mentre lui se ne stava in Francia tranquillo e protetto, l’Italia ha giocato due volte contro la Nazionale francese, nel 1998 e nel 2000. Una di queste partite si giocò a Parigi e chissà, magari c’era anche il terrorista in tribuna, con un biglietto regalato da qualcuno. Se l’abbiamo fatto allora, giochiamo adesso. Il pallone, le porte, le magliette, gli inni: il calcio è calcio. Si gioca, si segna, si vince o si perde.

Poi se ci scappa un fallo in più stavolta, diciamo che se lo sono cercato.

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