Politica

Berlusconi: «Sceglierei Fini senza esitazioni»

SCOMMESSE L’allora «Sua Emittenza» difese il pupillo di Almirante incurante delle critiche

Roma«Fini? Rappresenta bene i valori del blocco moderato nei quali io credo: il libero mercato, la libera iniziativa, la libertà d’impresa, in una parola il liberismo». 23 novembre: Berlusconi fa il tifo per Gianfranco. Il Cavaliere ha appena inaugurato l’Euromercato Shopville Gran Reno a Casalecchio, alle porte di Bologna: terra rossa che più rossa non si può, eppure lui punta tutto sul «nero». E vince. Anzi, vincono in due, sia Silvio che Gianfranco. Il termine «sdoganamento» parte da qui, anche se a Fini non piace poi tanto: «Si sdoganano le merci, non le idee». Di fatto, le porte del ghetto sono aperte, spalancate. La fiamma è ancora accesa e lui, Gianfranco, ha fatto il pieno di voti a Roma: 619mila voti, 35,8 per cento, un record per il Msi. Francesco Rutelli, il suo avversario, l’ha superato ma di un soffio appena: 684mila preferenze, 39,6 per cento. Andare al secondo round è già una vittoria per il pupillo di Almirante che, da quest’ultimo, ha succhiato una dote fondamentale: la retorica. Parla bene, Gianfranco. Non sbircia neppure sui foglietti quando fa i comizi con la gente con le braccia tese. Parla a braccio di Dio, Patria, famiglia, destra, valori, onore, ordine e legge. Anzi, lègge, con la «e» aperta come quando dice «Parlamènto». Palazzo in cui lui, cresciuto a pane e politica, è entrato nel lontano ’83. Ma stava ai margini e contava come il due di picche come tutti gli altri camerati. È pure chic da vedere, Gianfranco: magro, alto, con il loden e la cravatta da lisciare mentre guarda da destra a sinistra la platea in visibilio: «Fi-ni, Fi-ni, Fi-ni», croci celtiche e saluti romani.
L’altro, Silvio, ha già alle spalle una vita di cose fatte, di successi, di traguardi raggiunti: Milano 2, Milano 3, il Girasole. E ancora: TeleMilano, Canale 5, Italia Uno, Rete 4, la Fininvest e poi Mondadori. Sua Emittenza, lo chiamano. Ma Berlusconi non si ferma qui, non fa soltanto il tifo per Fini, con quel: «Se votassi a Roma non avrei un secondo di esitazione: voterei lui»; va oltre: «Se le forze moderate non si unissero, allora dovrei assumermi le mie responsabilità. Non potrei non intervenire direttamente. Non potrei lasciare andare il Paese su una strada sbagliata senza fare nulla. Se nulla di nuovo avverrà dovrò bere questo amaro calice». Due mosse in una; due scommesse vinte in un momento in cui il ciclone di Mani Pulite spazza via sia il Biancofiore che il Garofano.
Il Cavaliere diventa il Cavaliere nero. Amato ma anche invidiato, odiato e boicottato, lontano mille miglia dall’imprenditoria vicina alle Botteghe Oscure, Berlusconi comincia a diventare pericolo, minaccia, emergenza e rischio. Come osa scegliere un fascista? Come osa discettare di politica? Perfino Fini, che giulivo per l’appoggio ideale alza la cornetta per un «caloroso ringraziamento a Silvio», spera che Berlusconi continui a fare l’imprenditore. Per tutti gli altri è un Duce all’orizzonte; un fascista a cui piace il neofascismo. Il più tenero lo prende per i fondelli: «Ha scambiato il segretario del Msi con il produttore di tortellini, zamponi e lambrusco» (Claudio Petruccioli, Pds); qualcun altro s’indigna: «Sdegno per le gravissime prese di posizioni del Cavaliere che appoggia pubblicamente Fini, alfiere di quell’Almirante che proprio nel 1938 scriveva in quel vergognoso giornale di difesa della razza»; un altro applaude la redazione del Tg5 che si «dissocia dalle posizioni del presidente»; la stampa, Repubblica in testa, grida allo scandalo: Berlusconi c’ha il fez. Hai voglia a spiegare che no, la camicia nera è lontana mille miglia dai suoi armadi, dalla sua storia, dalla sua cultura, dalla sua sensibilità: «Quello fascista era un partito statalista, dirigista, che al libero mercato contrapponeva l’autarchia». Sì, vabbè, ma Fini è fascista! «Si vergogni! Quel movimento è morto 50 anni fa e Fini è nato nel 1952! Come potete perseverare a credere che abbia qualcosa a che fare con il fascismo? Siete in malafede: è come accusare Montanelli d’essere comunista!».
Gli hanno dato del ciarlatano, impostore, piduista, megalomane, inventore di un partito di plastica, dittatore, reuccio contornato da nani e ballerine, parvenu della politica aggrappato soltanto ai sondaggi, sballati, di Gianni Pilo che lo danno vincente. Eppure... La storia ci racconta com’è finita: l’ingresso in politica, salutato da Eugenio Scalfari con un editoriale dal titolo «Scende in campo il ragazzo Coccodè», è un trionfo. Del suo primo governo, che avrà vita breve, faranno parte pure quattro ministri del partito di Fini, ormai più che presentabile. Proprio grazie al 23 novembre.

Era il 1993: sedici anni dopo il «camerata» è presidente della Camera.

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