«La messa in scena del dittico Sarka di Janaçek e Cavalleria Rusticana di Mascagni con la regia di Ermanno Olmi per la Fenice mi entusiasma. La prima è prevista per domani, 11 dicembre. In completa sintonia con Olmi, abbiamo creato un'atmosfera primordiale dura e misteriosa: ambientata in una grotta che ricorda una miniera di carbone. Quindi molto nero, che sciabolate luminose fanno diventare argenteo. Invece, nel secondo atto, Cavalleria Rusticana si apre su spazi bianchissimi come saline: un contrasto impressionante, fatto di luce».
Tosto, volitivo, ipersensibile, saggio, impavido, tenace fino allo spasimo, Arnaldo Pomodoro da Montefeltro, classe 1926, parla con voce giovane. E conserva intatte tutte le sue prerogative, unite alla freschezza del grande artista capace di trarre gioia incomparabile dalla sua creatività.
A che punto sono gli italiani nel mondo dell'arte?
«Sono presenti e molto più interessati di qualche anno fa. Il merito va all'informazione in generale e alle amministrazioni particolarmente sensibili nei confronti della cultura. Purtroppo devono lavorare con pochi fondi a disposizione. Per fortuna, gli sponsor privati aiutano a colmare queste lacune».
E all'estero?
«Molto viene sovvenzionato dai grandi sponsor che finanziano non solo le mostre, ma anche i musei. Negli Stati Uniti, si detraggono dalle tasse i fondi donati all'arte e alla cultura. Da oltre mezzo secolo, massimo esempio di ciò sono il Moma (Museum of Modern Art), il Metropolitan Museum, emtrambi a New York, e la National Gallery di Washington, quasi del tutto sostenuti da privati».
A quale livello è la creatività dei nostri giovani?
«A un ottimo livello. In Europa, insieme con gli inglesi, ci distinguiamo in campo internazionale. Il ring massimo però è a New York, sotto l'etichetta di "espressionismo astratto", "minimal art", "arte povera", "conceptual art". Poi ci sono le "installazioni" e le grandi opere che vogliono stupire come quelle di Maurizio Cattelan, inventore della famosa scultura dove Papa Wojtyla viene colpito dal meteorite. O la scultura del cavallo imbalsamato trafitto da un cartello con la scritta Inri: due segnali che fanno riflettere sul significato della vita».
Come giudica Anish Kapoor?
«È uno scultore geniale di grande linguaggio cosmopolita. Mi hanno colpito le sue "ambientazioni". In particolare quella vista alla Fondazione Prada: una perforazione del pavimento con un buco a forma di imbuto. L'artista, oltre al visibile, deve rappresentare anche l'invisibile.
Cosa si può e si deve fare per salvare il nostro immenso patrimonio artistico?
«Molto dipende dalla nostra consapevolezza e dall'educazione che si deve pretendere di ricevere dalla famiglia e dalla scuola. Abbiamo visto a Firenze cosa hanno fatto i giovani, anche a prezzo della loro vita, per salvare i preziosi documenti dall'alluvione che li stava distruggendo».
Secondo lei oggi le nuove generazioni lo rifarebbero?
«Sì, ne sono certo».
E i suoi studenti di Berkeley, di Stanford, di Mills?
«Con l'era Bush, si è appiattita la creatività e quindi l'ispirazione».
La situazione a Brera?
«Oggi gli studenti a Brera sono circa 4000, troppi. Quindi condivido la proposta di spostare l'Accademia nell'ex caserma di via Mascheroni, un luogo più appropriato e aperto a tutte le varie sperimentazioni».
Cosa vede nel panorama Italia?
«Una grande confusione. Sono molto preoccupato perché non percepisco vie d'uscita. La politica è diventata troppo protagonista e mi sconvolge lo spazio che i media dedicano agli scandali più deprimenti».
Crede di aver realizzato tutto quello che voleva nella sua vita d'artista?
«La parola tutto non si deve mai dire.
«Brera? Troppi allievi, giusto spostarla»
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