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Cacciari e Lega contro Roma ladrona (di sport)

Asse bipartisan nel Nord: dal sindaco di Venezia al Carroccio parte la "resistenza" contro il progetto della Capitale di appropriarsi anche della Formula 1. In Laguna Olimpiadi sempre più lontane: la città di Alemanno vuole il bis

Cacciari e Lega contro Roma ladrona (di sport)

Già la fissa veltroniana di portare un Cinefestival anche a Roma non aveva scatenato l’euforia del Nord. Proseguendo nel tempo, dopo che i babbioni della Formula 1 avevano staccato la spina alla gloria di Imola e alle sue memorabili salsicciate, ecco che Roma punta ineffabile a ottenere anche il gran premio. Nel frattempo, i Mondiali di nuoto (chiusi in un tripudio d’inchieste, per la cronaca). Sullo sfondo, la madre di tutte le ambizioni: le Olimpiadi, da qui a qualche anno.
Uno schiaffo, passi. Al secondo, già sorge il rancore. Al terzo, basta. Ormai siamo in piena lacerazione nazionale. L’ultima, fra le tante. In questo periodo storico, è rimasta soltanto la neve a unificare il Paese: per tutto il resto, l’antica frattura Nord-Roma sta diventando sempre più insanabile, praticamente perpetua.

I primi effetti della nuova guerra si stanno rivelando molto curiosi. Destra e sinistra, che non si parlano e non si accordano su nulla, sui temi del marketing sportivo si stanno rimescolando in modo incredibile. Cadono i muri verticali, ne resta in piedi soltanto uno orizzontale, più o meno all’altezza di Rieti. Alla fine, sulla scacchiera politica, si ritrovano schieramenti insospettabili. Per la lotta del Gran Premio, la Lega e diversi parlamentari Pdl di area monzese strepitano contro l’alleato Alemanno. Se poi si parla di Olimpiadi, si arriva all’autentica acrobazia: Cacciari scamiciato al fianco dei Bossi. Per Venezia, contro Roma. Il filosofo lagunare, che conosce bene le paludi capitoline, ha già fiutato come finirà lo sprint per la candidatura italiana ai Giochi del 2020: «Non sono molto fiducioso. Al Veneto non viene ancora riconosciuta la sua centralità per lo sviluppo economico e sociale del Paese, come dimostrato dalla resistenza alla nostra candidatura per i Giochi, alla riattivazione dei fondi di legge speciale, alla concessione di aree demaniali come l’Arsenale».

Conclusione amarissima: «Non ci sentiamo molto aiutati dal centralismo che ancora torna, ahimè, in questo Paese...».
Non è un caso che dopo un secolo di questione meridionale - quanti testi ci hanno inflitto, dalle medie all’università, su questa benedetta questione meridionale? - non è un caso che ultimamente il Nord abbia preteso di aprire ufficialmente anche la sua bella questione settentrionale, con pari dignità e pari emergenza. A Roma, cui cinicamente interessa poco sia dell’una che dell’altra, la vera questione è un’altra: la questione romana. Così, a forza di aprire questioni, non ne stiamo risolvendo nemmeno una. Ciascuno si guarda l’ombelico, tra egoismi provinciali e vittimismi parrocchiali. Se Venezia ha il Festival del cinema, Roma vuole il suo festival del cinema. Monza ha la Formula 1: perché Roma non deve avere la Formula 1? E le Olimpiadi? Come dimenticare la magia del 1960, con tutti quei meravigliosi appalti pubblici: perché Roma non dovrebbe ritentare sessant’anni dopo?

Sostanzialmente è un grande gioco di tiro alla fune. Il Nord, ritenendosi depredato per secoli, partorisce negli anni '80 la rabbia leghista e tira qualche concessione dalla propria parte. Non appena questo avviene, dopo aver subito insulti e scherni per quasi trent’anni, Roma comincia ora a dire che la moda del decentramento e del regionalismo è durata anche troppo: adesso è ora di restituire dignità alla Capitale. E via con la fregola di organizzare qualunque cosa.

Il sospetto che a scatenare tanto orgoglio, al Nord come a Roma, non sia solo la passione, ma un irrefrenabile senso degli affari, è ben radicato nel resto del Paese. Però questo non incide minimamente. Il tiro alla fune, che dura ormai dal 1861, da quando questa accozzaglia di staterelli è diventata uno Stato, è sempre accanito. Qualche volta ha vinto Roma, come quando ha ottenuto d’essere capitale (1871), qualche altra - non molte, effettivamente - ha vinto il Nord, come in occasione del federalismo più o meno adattato. Spesso la sensazione è che questa fune sia sul punto di spezzarsi, nel risentimento e nella diffidenza reciproca. La stessa normativa nota come Legge per Roma Capitale, nelle intenzioni uno strumento particolare per una metropoli particolare, è vissuta sopra Rieti come una porcheria che permette ai politici romani di fare tutto quanto viene negato ai colleghi degli altri comuni. E non c’è verso di spiegarsi.

Malintesi? Pregiudizi? Incomunicabilità? Qualunque sia l’origine del virus, la malattia è conclamata. Non si vede in giro medico capace di affrontarla. Nord e Roma hanno sempre meno da dirsi e sempre più da rinfacciarsi. Che Cacciari si ritrovi tranquillamente sulla sponda leghista, che nel centrodestra i nordisti vedano Alemanno più o meno come Di Pietro, tutto questo è possibile nella terra dell’impossibile.

Ovviamente, è inutile sperare di uscirne in modo ragionevole. Nessuno ha la minima intenzione di fare un passo indietro. Di fare la prima mossa. Monza non vede il motivo di rinunciare al suo marchio più prestigioso, questo Gp che vale una Corona ferrea. Venezia non vede il motivo di rinunciare alle sue Olimpiadi romantiche e crepuscolari. Quanto a Roma, non ne parliamo. Roma non rinuncia né al Gp, né tanto meno alle Olimpiadi. E chi la ferma.

Attiva e ingorda com’è, capace stia già pensando anche al primo slalom di Coppa del mondo. Perché Roma non deve avere le sue gare di sci?

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