Calcio

"La malattia non è solo sofferenza". L'ultima partita di Vialli

Gianluca Vialli ha raccontato con estrema consapevolezza e lucidità come ha affrontato la malattia chiamata "compagno di viaggio"

"La malattia non è solo sofferenza". L'ultima partita di Vialli
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Oggi più che mai, con la scomparsa del Campione, risuonano come un insegnamento quelle parole che Gianluca Vialli disse su un prato da golf ad Alessandro Cattelan per una serie tv e nelle lunghe interviste rilasciate dopo aver scoperto il "compagno di viaggio" che lo ha accompagnato in questi cinque anni. Con le sue "semplici" risposte, Vialli ha insegnato cosa vuol dire malattia e cosa significa, al di là della sofferenza, convivere con un mostro così forte che ti fa cambiare totalmente la visione con cui si affronta la quotidianità.

"Malattia non è solo sofferenza"

Un racconto della malattia in modo assolutamente naturale, quasi come se si parlasse di altro. "La malattia non è esclusivamente sofferenza. Ci sono dei momenti bellissimi", aveva detto Vialli, riferendosi all'insegnamento che si piuò trarre su se stessi e dando l'opportunità di spingersi "anche più in là rispetto al modo anche superficiale in cui viviamo la nostra vita. La considero anche un’opportunità". L'ex calciatore di Cremonese, Juve, Samp e Nazionale, quasi scherzando, ha sottolineato a Cattelan che non era "grato nei confronti del cancro, però non la considero una battaglia. L’ho detto più volte. Se mi mettessi a fare la battaglia col cancro ne uscirei distrutto".

"Non vale la pena perdere tempo"

La malattia lo ha accompagnato per 5 anni fino al 6 gennaio 2023: per tutto questo tempo, Gianluca Vialli lo ha dovuto considerare "una fase della mia vita, un compagno di viaggio". La speranza non si è mai spenta: ha lottato come un leone per cinque lunghi anni per un tumore che spesso non dà scampo nemmeno dopo tre anni. A Cattelan ha spiegato che non avrebbe voluto perdere tempo e "fare delle stronzate", piuttosto impiegare il tempo negli affetti più cari come dire "ti voglio bene" ai propri genitori e vivere facendo le cose che appassionano di più perché "per il resto non c’è tempo. Siamo qui per cercare di capire il senso della vita e io ti dico: ho paura di morire".

"La vita è per l'80% come reagisci"

Ha vinto l'Europeo con il suo amico fraterno Roberto Mancini ma non ha mai smesso di lottare contro il male. La saggezza e la grandezza di quest'uomo, fuori da ogni retorica, risiede anche nell'insegnamento che ha dato a tutti coloro che stanno bene. "La vita, e non l’ho detto io ma lo condivido in pieno, è fatta per il 20% da quello che ti succede ma per l’80% dal modo in cui tu reagisci a quello che "accade", ha spiegato a Cattelan. Dalla paura alla curiosità: non ha fatto mistero di aver paura della morte e di cosa avrebbe incontrato una volta che si fosse spenta la luce "ma in un certo senso sono anche eccitato dal poterlo scoprire. Mi rendo anche conto che il concetto della morte serve per capire e apprezzare la vita. L’ansia di non poter portare a termine tutte le cose che voglio fare, il fatto di essere super eccitato da tutti i progetti che ho, è una cosa per cui mi sento molto fortunato".

L'amore per le figlie

Il consiglio vale per tutti: non perdersi in cose futili, inutili. Vialli aveva la paura che se fosse morto durante la notte, all'improvviso, molte cose sarebbero rimaste incompiute. Con questa consapevolezza ha trascorso gli ultimi anni comportandosi "in un certo modo nei confronti delle persone, di mia moglie, delle mie figlie perché non so quanto vivrò. Quindi ti dà questa opportunità di scrivere le lettere, di sistemare assolutamente le cose". Ecco, è proprio alle figlie che poi rivolge un pensiero nella serie tv. Alla considerazione di Cattelan che tutta la vita va spesa per i propri figli, domanda a Vialli se il rapporto con la malattia ha cambiato il tipo di pensiero su quanto potrà lasciare a loro. "In questo senso, cerco di essere un esempio positivo, cerco di insegnare loro che la felicità dipende dalla prospettiva attraverso la quale tu guardi la vita - ha risposto - Cerco di spiegare loro che non devi darti delle arie, devi ascoltare di più e parlare di meno, migliorarti ogni giorno, devi ridere spesso e aiutare gli altri. Secondo me, questo è un po' il segreto della felicità. Soprattutto cerco di fare in modo che abbiano l’opportunità di trovare la loro vocazione".

"Giravo con un maglione": la rivelazione sulla malattia

La malattia, per la prima volta, Vialli la raccontò ad Aldo Cazzullo nel 2018 tra le pagine del Corriere: l'intervista partì da lontano, dal lavoro del padre e da come era cresciuto colui che poi diventerà un campione di calcio. La sua squadra da piccolo era la Cremonese anche se il cuore era già per la Juve dove ha alzato l'ultima Coppa dei Campioni del club. Parlò dei dirigenti, degli allenatori e del fratello Mancini per poi affrontare il tema più importante: il tumore. "Ne avrei fatto volentieri a meno. Ma non è stato possibile", disse. E da qui il racconto che non avrebbe mai voluto fare alla famiglia e agli amici raccontando come andava in giro per nascondere il fatto che stesse diventando sempre più magro. "Giravo con un maglione sotto la camicia, perché gli altri non si accorgessero di nulla, per essere ancora il Vialli che conoscevano. Poi ho deciso di raccontare la mia storia e metterla nel libro", quello edito da Mondadori e chiamato "Goals. 98 storie + 1 per affrontare le sfide più difficili".

La Fondazione per la ricerca

La generosità di Vialli è stata sempre palese ma si è manifestata apertamente nel 2003 quando, con l'amico Massimo Mauro, aveva dato vita alla "Fondazione Vialli e Mauro per la Ricerca e lo Sport onlus" per raccogliere i fondi destinati alla prevenzione e alla cura del cancro e per dare la possibilità di andare sempre più avanti nella ricerca per la Sla (Sclerosi laterale amiotrofica), il male che ha subìto Stefano Borgonovo.

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