Politica

La Camera "ruba" 46 milioni l'anno in affitti

Per quattro edifici nel centro di Roma, Montecitorio spende una cifra tanto elevata che sarebbe più conveniente acquistarli. Lo scandalo di Palazzo Marini: gli uffici di 235 deputati e tre appartamenti ci costano 320 euro al mese per metro quadrato

La Camera "ruba" 46 milioni l'anno in affitti

Pier Francesco Borgia - Gian Marco Chiocci

Roma - Ecco l’Affittopoli della Camera dei deputati. Gli spre­chi, i canoni irrisori, gli affida­menti senza gara, i contratti top secret , le clausole cape­stro. I dati «fantasma» su Montecitorio rivelati dal Gior­nale grazie anche alle difficili investigazioni dei radicali e del parlamentare Pdl Ame­deo Laboccetta. Comincia­mo dai canoni stellari, dun­que. I gioielli più costosi del mercato immobiliare, è noto­rio, si trovano al centro della capitale. Ma quelli che valgo­no oro sono rintracciabili a metà strada tra piazza Colon­na (dove si affaccia Palazzo Chigi) e piazza di Spagna. Un esempio che rende l’idea?Pa­lazzo Marini. È un grande sta­bile sulla centralissima via del Tritone. Buona parte dei suoi uffici – canone 2010 - so­no stati affittati alla Camera per oltre 13 milioni di euro (per l’esattezza 13.269.346 eu­ro). Lo spazio è ampio. Serve ad alloggiare gli uffici di 235 deputati, oltre a tre apparta­menti di rappresentanza. I locali appartengono alla società immobiliare Milano 90 di Sergio Scarpellini. Un partner affidabile per Monte­citorio, visto che l’istituzione ha affittato dalla sua società non un solo stabile di queste dimensioni e con queste fina­lità istituzionali, bensì quat­tro. E nessuno con gara o avvi­so pubblico. Per un totale di 12mila metri quadrati. Locali ovviamente chiavi in mano, cioè ristrutturati e arredati se­condo il bisogno del locata­rio e forniti anche del perso­nale di vigilanza, del servizio mensa e di assistenza ai pia­ni. La Camera solo quest’an­no spenderà più di 46 milioni di euro (stando ai dati del Bi­lancio di previsione 2010) per far alloggiare i suoi depu­tati in questi uffici. Forse spendere più di 3.850 euro l’anno al metro quadro (320 euro al mese) è una cifra piuttosto consistente. A nutri­re questo sospetto sono stati alcuni parlamentari (Rita Ber­nardini dei radicali e Ame­deo Labocetta del Pdl) che hanno chiesto lumi all’Uffi­cio di presidenza. Non si so­no limitati a questo; hanno osato chiedere addirittura la rescissione di questi contrat­ti considerati troppo onerosi scontrandosi con i vertici bu­rocratici e politici della Came­ra, che solo alla fine si sono dovuti arrendere, dando pub­blicità ad atti finora mai resi pubblici. La cosa però è più complica­ta di quanto possa apparire anche a chi conosce bene i punti meno «battuti» del Co­dice civile (dove peraltro è scritto che i contratti di affitto per locali ad uso professiona­le possono sempre essere di­sdetti da parte del locatario). La Camera ha stipulato il pri­mo dei quattro contratti nel ’97. Il cosiddetto «Marini 1» impegna le parti per un perio­do di «9 più 9» anni. Il 21 set­tembre scorso, però, l’aula di Montecitorio, durante la let­tura, la discussione e l’appro­vazione del Bilancio di previ­sione del 2010, è riuscita a far passare la rescissione del con­tratto. Dal 2012 gli oltre 200 depu­tati che hanno l’ufficio in via del Tritone dovranno cercar­si una nuova sistemazione. Questo è stato possibile per­ché il «Marini 1» è l’unico dei quattro contratti che non pre­vede una clausola che vinco­la il locatario al rinnovo auto­matico. Un vincolo davvero insolito. Che non è presente nemmeno nel contratto del cosiddetto «Marini 2» (immo­bile di via Poli 14/20). Infatti è in una lettera redatta e spedi­ta sei mesi dopo la firma del contratto che viene scritta ne­ro su bianco la rinuncia alla disdetta anticipata della loca­zione. Il contratto è stato re­datto nel luglio del ’98. E il 17 dicembre il Servizio ammini­strazione della Camera dei deputati spedisce alla Mila­no 90 una lettera in cui si scri­ve tra l’altro: «La presente Amministrazione rinuncia formalmente alla facoltà di re­cesso anticipato, contrattual­mente riconosciutale a far da­ta dall’inizio del decimo an­no di rapporto ». Non è casua­le la specifica del «decimo an­no » visto che nei contratti c’è scritto che la disdetta non è possibile fino al decimo anno (il primo del rinnovo automa­tico). La Camera dei deputati, quindi, rinuncerà agli uffici di via del Tritone ma non si libererà dei contratti che la le­gano alla Milano 90 per gli im­mobili denominati «Marini 2», «Marini 3» e «Marini 4». Contratti stipulati tra il ’98 e il 2000 e che quindi vedranno la loro validità esaurirsi non prima del 2016. Secondo un calcolo appros­simativo (in virtù del fatto che ogni anno gli importi dei canoni variano perché sog­getti all’indicizzazione Istat), alla fine la Camera dei depu­tati avrà versato nelle casse della «Milano 90» oltre 540 milioni di euro nel corso di 23 anni. «Secondo questo calco­lo- spiega l’onorevole Laboc­­cetta, che insieme con la Ber­nardini (Pr) ha sollevato il problema dei costi di questi immobili - con la stessa cifra e per la stessa metratura è co­me se la Camera avesse acqui­stato immobili per un prezzo che oscilla tra 41.600 ai 50mi­la euro al metro quadrato». Non proprio a prezzi di mer­cato ( che nella zona del Trito­ne come in tutto il centro sto­rico si aggirano al massimo sui 10mila euro al metro qua­dro). Insomma il locatario (in questo caso la Camera dei de­putati) non ha badato a spese e non ha nemmeno sottilizza­to su un fattore tutt’altro che secondario. Al momento di prendere in affitto i locali del cosiddetto «Marini 1» (il già citato palazzo su via del Trito­ne) il proprietario non sareb­be stato in condizioni di con­cedere il affitto i locali per uso ufficio. La destinazione d’uso era un’altra. Insomma la Camera affitta a prezzi piut­tosto fuori mercato e non tro­va nulla da ridire sul fatto che quegli stessi locali non po­trebbero nemmeno essere af­fittati come uffici. Al proble­ma si rimedia in sede di con­tratto. L’articolo 14 al punto 1 spiega che «la conduttrice Ca­mera dei Deputati dichiara di essere edotta dell’attuale de­stinazione d’uso delle porzio­ni immobiliari oggetto della locazione». Al punto 2 dello stesso articolo si va ben oltre. «La Camera dei deputati - è scritto - attiverà, entro e non oltre giorni 15 dalla data della sottoscrizione apposta in cal­ce, ogni necessaria procedu­ra di legge per conseguire il cambio di destinazione d’uso delle porzioni immobi­­liari oggetto della locazione». Solitamente dovrebbe essere il proprietario a impegnarsi alla modifica della destina­zione d’uso e non l’affittua­rio. Secondo quanto ricostru­ito dal Giornale , il Municipio I non ha subito concesso il cambio di destinazione d’uso.

Questo è stato poi assi­curato direttamente dagli uf­ficio del Campidoglio (il sin­daco di allora era Francesco Rutelli).

Commenti