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Il Cav: decreto sviluppo senza Giulio

Avanti anche senza Tremonti. Il decreto sviluppo si farà anche senza il ministro dell'economia. Berlusconi rassicura sulla presunta fronda in arrivo da Scajola, ma teme frizioni con Sarkozy sulla Bce

Il Cav: decreto sviluppo senza Giulio

Roma - Scena uno. Ore dieci di mattina. Berlusconi e Tremonti passeggiano insieme in Transatlantico con il premier che gli tiene la mano sulla spalla. E con tanto di caffè e cappuccino alla buvette. «Se c’è un periodo in cui stiamo lavorando in assoluta concordia è questo», assicura il Cavaliere che bolla come «favole» le ricostruzioni giornalistiche dei loro dissidi. Scena due. Ore due del pomeriggio. Nella sala del governo a Montecitorio si conclude dopo ore il lungo faccia a faccia tra premier e ministro dell’Economia. Scena tre. Ore quattro. Vertice a Palazzo Grazioli con Letta, Alfano, Verdini, La Russa, Bondi, Frattini, Romani, Fitto, Brambilla, Tajani, Bonaiuti, Cicchitto, Gasparri, Corsaro e Quagliariello. Dice il Cavaliere ai presenti: «Il decreto sviluppo va fatto senza Giulio». Segno che il patto della brioche non regge nemmeno mezza giornata.

Via, dunque, a snocciolare quelli che potrebbero essere i capitoli del decreto. Si parla di infrastrutture, liberalizzazioni, semplificazioni, dismissioni del patrimonio immobiliare e condono. Ipotesi di lavoro. Su cui farà la sintesi Romani, a cui viene affidato il compito di coordinare le proposte degli altri ministri. A parole, insomma, quella cabina di regia sull’economia tanto invocata da tutta la maggioranza. Anche se il fatto che Tremonti non ne faccia parte e non si sia preso neanche la briga di partecipare alla riunione di Palazzo Grazioli è piuttosto eloquente. Anche se durante il vertice nessuno dei presenti solleva obiezioni, sono in molti a pensare - e più tardi a dire, purché a microfoni spenti - che «è impensabile varare un provvedimento del genere contro il ministro dell’Economia». La sensazione di tutti, insomma, è che quando Romani si presenterà a via XX Settembre e farà la sintesi sarà respinto con perdite. D’altra parte, solo qualche minuto dopo il caffè e cappuccino - alla faccia del patto della brioche - Tremonti non mancava di sottolineare che con Berlusconi «abbiamo diverse idee sui soldi». Che per il ministro dell’Economia non ci sono.

Empasse, dunque. Con il decreto sviluppo che, fa sapere Lupi, sarà presentato per il 20 ottobre. Dopo il Consiglio europeo e l’Eurogruppo dove sono in agenda i provvedimenti per fronteggiare la crisi in programma a Bruxelles il 17 e 18. E pure se Bankitalia la partita è ancora in fase di stallo. Berlusconi dice che sarà lui a decidere «entro il primo novembre». Ma durante il vertice a via del Plebiscito ripropone la solita terna Saccomanni-Grilli-Bini Smaghi. Anche se nelle ultime ore è spuntato il nome di Giuliano Amato, che potrebbe mettere d’accordo il Quirinale e il ministro dell’Economia visto che i due frequentano entrambi l’Aspen. È Bini Smaghi, invece, a preoccupare il premier che teme seriamente non voglia lasciare il board della Bce. «Sul punto mi ero impegnato con Sarkozy - dice durante la riunione - e ora rischiamo una figuraccia». Perché con l’arrivo di Draghi al posto di Trichet alla presidenza della Banca centrale la Francia resterebbe fuori dal direttivo dell’Eurotower.

Nessuna paura, invece, per la presunta fronda in arrivo da Scajola e dai suoi fedelissimi. Perché, spiega al vertice, «sono sicuro che Claudio non mi tradirà», bisogna solo «cercare di recuperarlo». Dunque, nessun nuovo governo in vista. «Mi fa ridere sentire di un mio passo indietro e di un nuove esecutivo», dice ai cronisti in Transatlantico. Per poi ribadire che «cambierò nome» al Pdl «perché non è nel cuore della gente». «Sto facendo - aggiunge - degli studi», che al momento vedono un maggior gradimento su «Italia per sempre» rispetto a «Forza Silvio». Più silenzioso invece Tremonti che interrogato su Bankitalia da un giornalista dell’agenzia Radiocor gli prende tra le mani il badge per leggerne nome e testata. «Vuoi vedere per chi lavora?», chiede un deputato. «No, per chi lavorava...», risponde sempre simpatico il ministro. Che se non ha portato a casa Grilli ottiene comunque la nomina di Stefano Scalera a direttore dell’Agenzia del demanio. Quella, per capirci, che amministra i beni immobili dello Stato.

Gli stessi che la cosiddetta cabina di regia dovrebbe dismettere.

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