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Il Cavaliere: "Niente tasse per un mese"

Il Cavaliere: "Dopo i disastri di Prodi, vorrei regalare 30 giorni di libertà dalle imposte. Vediamo se si può fare". Poi dice: "Pure l’azionariato diffuso per salvare Alitalia. I ministri? Per ora sicuri Tremonti e Prestigiacomo". La maratona con Silvio tra quiz, bigliettini e tanta folla

Il Cavaliere: "Niente tasse per un mese"

Un po’ di pasta fredda, formaggio spalmato sui cracker, mezzo bicchiere di vino. «Champagne?», chiede il pilota. «No, vino bianco normale». Il pilota ci guarda: «Vede? Sull’aereo privato il comandante fa anche l’hostess...», sorride. Altro che l’Alitalia. Silvio Berlusconi domanda ancora qualche cracker, si assicura che tutti a bordo abbiano la cena («Ci sono più passeggeri del previsto, vero? »). Poi si rilassa. Sono le dieci di sera. È stata una giornata lunga, faticosa, chi lo accompagna sull’aereo è stremato. Lui che ha tenuto due comizi in Sardegna, più uno al telefono (col Veneto), un paio di conferenze stampa volanti, decine di interviste e infiniti colloqui privati, è il più pimpante di tutti. «E pensare che la descrivono come vecchio e stanco», abbozzo, accasciandomi sulla poltrona. Il mio fisico giovanile è punto sul vivo dell’orgoglio: solo aver seguito la maratona mi ha semidistrutto. E lui, che l’ha corsa, invece, è fresco come una rosa. Mi guarda e sorride: «Ha visto? È così tutti i giorni. E oggi mi è ancora andata bene... ».

Perché?
«Non ho le mani graffiate. Né lividi sulle braccia. Succede spesso. L’entusiasmo della folla è travolgente... Mi accolgono come se fossi una rockstar. Lo sa perché ho deciso di non portare più la cravatta?».
No.
«Perché un giorno ho rischiato di farmi male. Tanto era l’entusiasmo attorno ame che mi hanno afferrato involontariamente per la cravatta e mi hanno trascinato contro un tubolare. Allora ho pensato: in piazza occorre un altro abbigliamento. Devo stare comodo, come quando sono en privé».
Nessuna decisione strategica? Nessun pool di esperti? Nessun messaggio nascosto?
«Io non ho ovviamente nessun consulente per il look. Mity Simonetto si occupa solo dei servizi fotografici per i giornali. Cosa indossare lo decido io. Ma ciò che conta è altro». E cioè? «Il fatto che trovo dappertutto una grande passione, uno slancio incredibile, un desiderio di vicinanza anche fisica».
Simile alle altre campagne elettorali, immagino.
«No. Di più. Non ho mai visto tanto entusiasmo in una mia campagna elettorale».
Eppure l’accusano di avere tenuto i toni bassi: niente promesse, niente miracoli, niente "sole in tasca".
«Sono stato semplicemente realista. Bisogna prendere atto della realtà che la sinistra ci ha lasciato: siamo un Paese in emergenza, cercare di rialzarlo è un dovere e un onere».
Tornare a Palazzo Chigi dunque sarebbe un onere?
«Sì. Al 100 per cento. Certo: c’è anche l’intima soddisfazione di chi torna per portare a compimento ciò che aveva iniziato nella precedente esperienza di governo. Ma c’è soprattutto il senso di responsabilità per la fiducia che la gente ha in me. Ha visto la gente che partecipa ai miei comizi?».
Ho visto.
«Uno di loro oggi mi diceva: Silvio, non è ancora nato il tuo successore... E io ho risposto: peccato».
Quali sono le possibilità di vittoria che si dà oggi?
«Possibilità di vittoria? 100 per cento».
Ma al Senato non c’è il rischio di qualche sorpresa? La vittoria netta nei voti potrebbe non coincidere con una maggioranza sicura in aula?
«Se succede è colpa del premio di maggioranza su base regionale, un premio che io non volevo. Non potendo farlo su base nazionale, sarebbe stato meglio abolirlo del tutto».
Teme per il Lazio?
«No. L’unica cosa che temo sono i brogli e gli inganni. Nelle altre elezioni ci hanno tolto quasi un milione di voti. Ma questa volta la distanza è tale che ogni loro sforzo sarà inutile».
Fra i possibili inganni va pure inserita la scheda-confusione?
«No, quel pasticcio danneggia tutti in egual misura. Però è un’altra dimostrazione della mancanza di buon senso della sinistra al governo. Della sua totale incapacità».
A proposito di incapacità: il problema dei rifiuti. Si stabilirà davvero a Napoli?
«Almeno tre giorni a settimana finché l’emergenza non sarà finita».
Ma come risolverà l’emergenza?
«Per il medio periodo, costruendo termovalorizzatori dappertutto, in ogni provincia, secondo le emergenze».
E per il breve periodo?
«Ho delle idee precise e concrete. Se gliene dico una mi promette che non la scrive?».
Promessa mantenuta. E l’Alitalia?
«Se non la svendono prima delle elezioni, la salveremo. L’altro giorno ho ricevuto la lettera di un artigiano con un assegno di 150 euro. “Non posso dare di più”, mi ha scritto, “ma voglio offrire il mio contributo per evitare la vergogna che la nostra compagnia di bandiera finisca nelle mani di un altro Paese”. Mi ha colpito quella lettera. E mi ha fatto venire un’idea».
Quale?
«Incontrando le varie associazioni di categoria (l’ultima è stata la Confapi) ho chiesto alla platea: chi di voi se la sente di sottoscrivere una fiche per Alitalia se ve lo chiedesse il vostro presidente del Consiglio?».
Immagino la risposta.
«Hanno alzato tutti la mano. Tutti pronti. Del resto io non ho mai chiesto soldi per il partito: ora posso chiedere a tutti di diventare azionisti di Alitalia. E anche di volare Alitalia».
Ma questo appello all’azionariato diffuso significa che nella cordata non ci saranno più i grandi nomi che sono usciti sui giornali nei giorni scorsi?
«No, ci saranno anche quelli. C’è una compagine molto allargata di imprenditori importanti che si faranno avanti non appena questa sciagurata trattativa finirà. Alitalia resterà italiana e tornerà in attivo».
Dove troverà le risorse per abbassare le tasse, costruire le infrastrutture e rilanciare il Paese?
«Abbiamo diversi progetti. Uno dei più importanti è la cessione di immobili del patrimonio dello Stato, che vale 1.800 miliardi di euro, cioè più del debito pubblico italiano. Penso per esempio alle caserme nel centro delle grandi città che potrebbero diventare centri commerciali o direzionali».
Quanto pensa che si possa ricavare ogni anno dalle dismissioni?
«Almeno 15 miliardi di euro, ma si potrebbe arrivare anche a 30 miliardi. Tutte somme che dovrebbero essere destinate all’investimento in infrastrutture e alla riduzione del debito».
Gli italiani chiedono di ridurre soprattutto i costi della politica.
«In una grande azienda è dimostrato che i costi si possono ridurre del 30 per cento, senza diminuire il fatturato e la profittabilità. Dovremo farlo anche in quella grande azienda che è la nostra Pubblica Amministrazione. Ci si rimbocca le maniche e si comincia a risanare. In cinque anni dovremo impegnarci per portare il debito pubblico sotto il 100 per cento».
E intanto taglierete anche le tasse?
«Sì, a cominciare dai provvedimenti che presenteremo al primo Consiglio dei ministri: l’abolizione dell’Ici sulla prima casa e la detassazione degli straordinari, una misura che non è ancora stata capita fino in fondo. Una misura davvero rivoluzionaria». Rivoluzionaria?
«Sì: perché se lavoratori e imprenditori si metteranno d’accordo, si potranno di fatto detassare tutti gli aumenti di stipendio».
Poi c’è la proposta sull’Iva...
«L’Iva non dovrà più essere versata in anticipo, ma solo quando sarà stato incassato il pagamento. Abbiamo cominciato a parlarne anche con l’Unione europea».
Ha qualcos’altro in mente?
«C’è un’iniziativa che mi piacerebbe molto, ma anche questa gliela posso dire solo se non la scrive...».
Presidente, non posso mantenere tutte le promesse. Se no che giornalista sarei...
«Dunque: l’idea sarebbe quella di regalare agli italiani, dopo tutto quello che hanno subito con Prodi, un mese senza tasse. Il mese della libertà. Probabilmente non si potrà fare, perché costa troppo. Ma come vede la fantasia per risolvere i problemi non ci manca».
Ha un’idea anche per risolvere il problema dei ministri?
«Non c’è nessun problema con i ministri. Non ne abbiamo ancora parlato».
Manterrete l’impegno: 12 ministri e non più di 60 cariche di governo in tutto?
«Sì. Lo manterremo. E ci saranno quattro donne».
Sa già chi saranno?
«Tre di queste quattro le ho in mente. Una sarà sicuramente Stefania Prestigiacomo».
Michela Vittoria Brambilla avrà un incarico di governo?
«Credo di sì. Ma le ho detto che non abbiamo ancora iniziato a parlarne. L’unico incarico mai messo in discussione è il ministero dell’Economia a Giulio Tremonti».
Bossi?
«Non ho detto quello che mi è stato attribuito. Sono le solite sparate dei giornali di sinistra, Repubblica e Unità in testa, che vogliono disinformare».
Il senatùr poteva risparmiarsela quella dei fucili...
«Ma lo sanno tutti che i fucili non ci sono. Lui si esprime così, per paradossi».
Si parla di Gianfranco Fini presidente della Camera...
«Perché no? Ma le ripeto: non ne abbiamo ancora discusso».
... E di Roberto Formigoni presidente del Senato...
«Non le dico nulla di più. Non è il momento. Adesso dobbiamo solo impegnarci per questi ultimi giorni di campagna elettorale».
A proposito di ultimi giorni di campagna elettorale. Ho notato un certo cambiamento di toni nei confronti della sinistra. Adesso lei è molto più duro.
«Più deciso, direi. Il fatto è che mi ero illuso: avevo incontrato Veltroni e gli avevo creduto. Pensavo che finalmente potesse nascere una sinistra diversa, che fossimo vicini a una Bad Godesberg italiana. Invece mi sono sbagliato: sono sempre i soliti».
Quando se n’è accorto?
«È lampante. Veltroni aveva detto che si sarebbe presentato da solo e invece si è alleato con il peggio del peggio, con Di Pietro. Il che dimostra che nel Pd c’è ancora una radicata cultura giustizialista. Poi aveva promesso: divorzierò per sempre dall’estrema sinistra, quella che ancora orgogliosamente vuole chiamarsi comunista. E invece quando si è trattato del potere locale nelle elezioni amministrative si è messo ancora con Rifondazione comunista e con i comunisti italiani che aveva giurato di abbandonare per sempre. Un altro impegno mancato. E infine, per asseverare la sua pretesa di essere il nuovo, l’innovazione, il futuro, aveva annunciato una classe dirigente assolutamente nuova. Poi ha presentato le liste e nelle liste ci sono tutti, ma proprio tutti i ministri, i vice-ministri, i sottosegretari del Pd che sono ancora al governo con Prodi, a combinare i danni che sappiamo. Nessuna novità, anzi continuità assoluta, una promessa totalmente mancata».
E allora?
«Allora i fuochi di artificio dell’inizio della campagna elettorale sono finiti. Sono finiti gli effetti speciali. Veltroni da buon cineasta diplomato in fiction potrebbe scrivere come finale della sua campagna la didascalia che si legge alla fine di molti film: “Le vicende raccontate in questo film non hanno alcun riferimento a fatti realmente accaduti”».
Cioè?
«Cioè in Italia esiste una sola sinistra della realtà. E quella al governo è quella dei fatti, è quella che ci lascia una drammatica eredità. La pressione fiscale record, la crescita zero, l’apertura delle frontiere agli extracomunitari con il calo verticale della sicurezza dei cittadini, il blocco dei cantieri per le grandi opere, l’immane tragedia dei rifiuti. L’altra, la sinistra futura di Veltroni, è la sinistra delle parole, dei sogni, delle fantasie. Credo che gli italiani di buon senso l’abbiano assolutamente capito».
Le dà fastidio quando Veltroni la chiama "l’esponente dello schieramento avversario", senza citarla?
«Per nulla. Penso che Veltroni addossandosi una missione impossibile si sia rovinato con le sue mani».
Di Pietro è un punto fermo dei suoi comizi...
«Mi fa orrore».
Dicono però che il vostro programma e quello del centrosinistra si assomiglino...
«Hanno copiato. Ma sa qual è la differenza? Loro non hanno mai rispettato i programmi. Mai. A loro i programmi, come quello delle 281 pagine di Prodi, servono soltanto per conquistare il potere che poi gestiscono nel loro interesse, nell’interesse delle loro clientele, delle loro corporazioni, delle loro cooperative».
Quindi nessuna possibilità di collaborazione dopo il voto?
«Non è possibile fare accordi con questa sinistra, che è rimasta quella di sempre. Per loro lo Stato è solo il partito che ha preso il potere: un’idea che non posso accettare perché segna il confine tra regime e democrazia».
Vi accusano di dire sempre le stesse cose.
«È vero: noi questa la chiamiamo coerenza».
E Casini?
«Casini ha preferito essere il primo in un villaggio che il secondo a Roma. Ma si troverà da solo perché molti dell’Udc sono rimasti qui, con noi, nel Popolo della Libertà, mentre lui se n’è andato».
Cosa ne pensa della campagna elettorale di Giuliano Ferrara?
«Abbiamo tentato di dissuaderlo in tutti i modi. Spero che non ci sottragga troppi voti, dal momento che i suoi saranno prevalentemente voti del Popolo della Libertà».
Lei ha già deciso dove voterà?
«Nel solito seggio. Quello dove votavo con la mamma, anche se adesso lei non c’è più».
Le sono mancati i suggerimenti di mamma Rosa in questa campagna elettorale?
«Sì, mi manca la telefonata quotidiana, quella in cui mi confidava quanti rosari aveva detto per me e commentava le immagini viste alla Tv. Mi mancano le sue raccomandazioni. Ancora adesso ogni tanto quando salgo in auto mi viene l’istinto di chiamarla, come facevo sempre».
L’intervista è quasi finita: sono riuscito a rovinarle l’unico momento di quiete sull’aereo...
«Ma no, è stato un piacere. Adesso sto bene, stamattina invece...».
Mi hanno detto i suoi collaboratori che la giornata non era partita benissimo...
«Ogni giorno mi spaventano un po’ gli impegni che mi aspettano. L’ha visto? È molto faticoso, proprio perché sto cercando un modo nuovo di fare politica: i miei non sono comizi, sono conversazioni a cui la gente partecipa con pieno coinvolgimento. E poi gli abbracci, i baci, le strette di mano, gli autografi, i consigli».
Uno dei suoi collaboratori mi confidava che lei è un diesel...
«Diesel? Forse perché tengo botta sulla lunga distanza. Maio mi sento un velocista. E i miei comizi spesso sono veri e propri exploit, pieni di novità e di battute improvvisate, anche se pochi giornali (compreso il suo, direttore) registrano l’entusiasmo e la passione che mi accolgono e mi accompagnano».
Siamo prudenti, presidente.
«Stasera, invece, io sono proprio soddisfatto. E allora mi premio con un bicchiere d’amaro. Comandante, me lo porta?».
Prende l’amaro solo se è soddisfatto della sua giornata?
«Esatto. Me lo consento solo se ho adempiuto a tutti i miei doveri».


E quindi?
«Quindi lo prendo sempre, caro direttore».

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