Cronaca locale

Celentano, il guru prigioniero della via Gluck

Il cantante-predicatore insulta la giunta Moratti: terroristi che vogliono assassinare Milano. Non si è accorto che al posto dei prati ci sono già le case

Celentano, il guru prigioniero della via Gluck

Adriano Celentano, icona nazional-popolare del buonismo ecologicamente corretto, è un simpatico e infantile sognatore che abbonda di buoni propositi demagogici cui fa difetto, però, il sano pragmatismo della politica.
Sarà per questo che predica spesso, a sproposito.
Ieri, in una breve e pesantissima lettera pubblicata da Repubblica, ha raso moralmente al suolo Palazzo Marino, definendo l’esecutivo milanese una «giunta terroristica». Il motivo? Aver deciso di «rendere edificabile gran parte del Parco Sud». Cosa peraltro non vera.

Da cantante pop passato prima al ruolo di predicatore-guru e da qualche tempo a quello di profeta apocalittico, Celentano nel suo j’accuse torna con la passione e la superficialità che lo (...)
(...) contraddistinguono sul tema della cementificazione della città. Come quando, tempo fa, tra il serio e il faceto, si candidò a sindaco di Milano in vista delle elezioni del 2011. Speriamo che lo diventi davvero, così poi vediamo. Conoscendo, per esperienza della Storia, i danni che fanno i poeti e gli artisti quando ottengono incarichi politici...

Comunque, ieri Celentano dalle pagine del giornale di Carlo De Benedetti - un capitano d’industria e signore dell’alta finanza, non propriamente un attivista di Greenpeace che gestisce agriturismi - ha messo in guardia i milanesi dal mostro della cementificazione, incitandoli a «svegliarsi». Ma è Celentano che si è assopito nella favolosa età dell’oro della Milano degli anni Cinquanta, quelli pre-boom e delle case in mezzo al verde. Vive in uno stato di eterna giovinezza continuando a ripetere lo stesso refrain anacronisticamente succube del mito del Ragazzo della via Gluck. Wa wa!

Questa è la storia di uno che vorrebbe continuare a giocare nei prati, ma che dimostra di abitare fuori dal tempo. La sua lettera a Repubblica - scritta e consegnata per altro senza neppure rileggerla, in spregio alle elementari regole della sintassi e sprezzante del lettore - è piena di ingenui proclami demagogici che fanno molto share, ma povera di proposte che possano aiutare la discussione.
Utopico buon senso comune, nient’altro. E - al netto di accuse poco eleganti come «giunta terroristica», «Milano assassinata», «ambigua banda comunale» - per di più fuori tempo massimo. Come ha fatto notare l’assessore all’Urbanistica Carlo Masseroli «Celentano ha perso qualche passaggio di quello che è accaduto nel nostro consiglio comunale: maggioranza e opposizione hanno deciso che nel Parco Sud non si costruisce. Il cantante continua a ripetere slogan che per la città sono vecchi e inutili».

Mentre il consiglio è riunito, fra ieri e oggi, in una seduta fiume di 25 ore per discutere sul nuovo Piano di governo del territorio, destra e sinistra a Milano stanno definendo un accordo molto pragmatico che salvaguardi il Parco Sud ma che lo tenga collegato alla città metropolitana. Tra il non toccare niente e la speculazione edilizia, si può trovare una via di mezzo, un compromesso. Che è il compito, appunto, dei politici. Ai cantanti, come è noto, si lasciano i sogni. Con i quali i cittadini possono dormire sonni tranquilli ma non certo vivere meglio. Per questo servono infrastrutture, strade, piste ciclabili... Il Parco Sud è una «campagna» che nell’ultimo decennio ha conosciuto una colonizzazione di milanesi-metropolitani in cerca di costi più bassi e qualità della vita più alta: continua a rimanere il grande polmone verde di Milano, ma con gli stessi servizi di quando contava la metà della popolazione. Il mondo va avanti, perché la musica non cambia?

I nostri governanti - scrive Celentano - «hanno ben pensato di firmare i nuovi sfaceli con una colata di cemento che non avrà precedenti nella storia». Storia, a sua volta, che il cantante ripete da 1966, quando presentò al Festival di Sanremo il suo primo brano impegnato ecologicamente, Il ragazzo della via Gluck. Al quale l’amico Giorgio Gaber diede da lì a poco una divertente risposta, cantando di quel ragazzo, appena sposato, che cercava una casa senza trovarla perché a causa del «piano verde» della città le abbattevano tutte per farci dei prati... Antiche bagattelle fra cantautori.

Il fatto è che, 45 anni dopo, il capo del clan che dà dei terroristi ai politici si ostina a cantare la stessa canzone.

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