Arte

Che emozione scovare quella Via Crucis (in miniatura) di Beniamino Simoni

Così Vittorio Sgarbi racconta la scoperta di quattro statue dello scultore settecentesco

Che emozione scovare quella Via Crucis (in miniatura) di Beniamino Simoni

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Sono certo che Giovanni Testori sarebbe felice di trovare in queste pagine un suo beniamino; un doppiamente autentico Beniamino, e non solo di Testori, ma anche di altri che furono firme di quel giornale: Giovanni Reale e Fiorella Minervino. Il grande scrittore, dopo la rivelazione del Sacro Monte di Varallo, che egli restituì alla grande storia dell'arte con i suoi studi su Gaudenzio Ferrari, Tanzio da Varallo, il Morazzone registi e interpreti del gran teatro montano , si applicò alla moderna reinterpretazione, compiutamente estetica e non devozionale, della Via Crucis di Beniamino Simoni a Cerveno in Val Camonica, distribuita nelle quattordici cappelle con statue lignee e di stucco. Testori le guardò con occhi nuovi, gli stessi con i quali oggi avrebbe osservato queste quattro (di otto), riemerse da una lunga notte con la loro impressionante e vivissima vitalità. Quattro statue monumentali perfettamente compiute, e non bozzetti, alte diciotto centimetri e nelle quali si racchiude tutta l'energia dello scultore raffinatissimo e popolare, per una nuova Via Crucis da camera. La forza istintiva e brutale di un'umanità senza grazia, che accosta il divino senza avvertirne il beneficio spirituale. Le dimensioni non sottintendono un fare miniaturistico, lezioso e pur sofisticato, ma consentono un modellato per larghe masse, potentemente plastico, contenendo il rischio caricaturale in un espressionismo realistico, nelle espressioni dei volti, nelle smorfie, nella esecuzione dei capelli. Lo spirito di Simoni non muta dalle grandi alle piccole dimensioni, e non perde forza la dignità formale dello scultore, conosciuto nei documenti, e in particolare presente a Cerveno per otto anni dal 2 gennaio 1752 al 1759, chiamato dal parroco Gualeni per la grande impresa del santuario, e riconosciuta soltanto nel 1976 da Testori, che parteggia per il misconosciuto artista anche sul piano umano, per il miserabile compenso che gli viene riconosciuto, tanto da parlare di un'opera «accettata, concepita ed eseguita come un'ultimativa lucentissima sfida perpetrata dall'indigenza alla ricchezza e dalla servitù al potere e al dominio» per «buttar fuori, lacerando coltri di silenzi, di omertà e di paure, il rospo (al sat) che gli ingombrava la coscienza (e la fantasia): feto ligneo di una secolare, orrida condizione di servi; di venduti; di schiavi». Interpretazione suggestiva, confermata dalle opere riapparse.

Ma la visione di Testori è tragica, estrema, ultimativa, un cupio dissolvi e non corrisponde alla realtà delle cose. Esauritosi in quell'opera, fu poi costretto a vivere, chissà come , senza più produrre niente, se non addirittura nella nullità completa della propria mente, come tutto era la sua completa cancellazione dai registri della società, in primis lascia supporre; certo, nel disfacimento del proprio corpo e della propria forza che la fatica richiestagli da quel gesto di rivolta e di giustizia gli aveva causato. Per cui, come in ogni vera tragedia, anche qui, a una morte ne corrisponde un'altra; a uno sfacelo e a una nientificazione, un altro sfacelo e un'altra nientificazione.

Sappiamo che non è vero. Il documento ritrovato da Fiorella Minervino presso la chiesa bresciana dei Santi Nazaro e Celso ci fa sapere che Beniamino Simoni lascia Cerveno per «altre commissioni di maggior interesse, o che, comunque, assorbono il lavoro della sua limitata bottega». Nel 1766 chiede per «due puttini» centottanta scudi, poi ridotti a centocinquanta. Si può affermare dunque che la sua vita artistica non fosse affatto terminata dopo gli anni intensi di Cerveno. Tanto da pensare che, proprio nella luce e nella notorietà di quell'esperienza, Beniamino Simoni avesse potuto applicarsi a memorie in piccolo formato di quella certamente indimenticabile e impressionante impresa.

C'è qualcosa di delicato e insieme di umanissimo nel veder riaffiorare la sua anima in queste piccole statue dove la rabbia si compone nella compiaciuta perfezione della forma.

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