Teatro

Confessioni di Escobar: teatro oltre ogni limite

Allo Studio Melato il libro dell'ex direttore del Piccolo: trent'anni di avventure per allargare i confini al mondo

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Più volte avevo invitato Sergio Escobar a scrivere un libro sulla sua lunga storia al Piccolo Teatro, e non solo, impegnandomi a trovare anche un editore. Gli ricordavo i suoi tanti scritti, disseminati tra libri, programmi di sala, per dare loro un'organicità storiografica. Forse i tempi non erano maturi. Finalmente l'idea l'ha concretizzata, per Baldini e Castoldi: «Sergio Escobar. Lo spettacolo infinito. Storie di teatro e di scenari politici», con prefazione di Salvatore Carrubba, sarà presentato oggi alle 18,30 al Teatro Studio Melato.

Diciamo subito che non si tratta di un libro di estetica teatrale, di analisi degli spettacoli, bensì di un libro sul mondo del teatro che, se ben guidato, ci fa scoprire relazioni inimmaginabili con artisti poco conosciuti, ma che appartengono alla storia. Non ci sono dubbi sul fatto che il Piccolo sia stato e continui a essere un patrimonio di Milano, con una sua identità e con una differenza rispetto agli altri teatri italiani ed europei, solo che, a Escobar, l'Europa non bastava, perché la sua idea era di portare il Piccolo e la Scala, al tempo di Carlo Maria Badini, verso il Mediterraneo, con spettacoli e con Festival che testimoniassero la creatività dei due teatri milanesi nel mondo.

Escobar era convinto che non solo l'Europa avesse una identità plurale, ma anche il Mediterraneo, al quale dedicherà anni di proposte, scelte, incontri, in un momento in cui non attraversavamo certezze, quelle teorizzate, in quegli anni, da Ilya Prigogine in «Le leggi del caos», che Sergio ben conosceva. Il suo viaggio verso il Mediterraneo, Escobar lo aveva iniziato quarant'anni dopo Mattei, a cui dedica un capitolo: «La pecora nera del Mediterraneo», che tanto nera non doveva essere, visti i suoi interessi, non solo di tipo impresariali, ma anche culturali, un personaggio scomodo, non solo allora, ma anche oggi, non essendoci più un Omero che potesse condurre l'uomo verso confini persino invalicabili. Un vuoto che Escobar cercò di colmare con due spettacoli, uno dedicato a Mattei, con Laura Curino, e uno a Ulisse, affidato a Bob Wilson, che sembrava impossibile da realizzare.

Escobar ha sempre amato gli scogli insidiosi, sia le terribili burocrazie di Mosca, Seul, Shanghai, Tokyo, Alessandria d'Egitto, Beirut, Algeri, Istanbul, Damasco, Tunisi, sia quelli per realizzare «Odyssey», in coproduzione col Teatro Nazionale di Atene, proprio durante la sua grave crisi economica, scogli che mettevano in evidenza lo scontro tra la realtà del teatro e degli apparati burocratici, anche italiani, contro i quali egli schierava le armi della «politica del teatro», con le sue specificità, le sue collaborazioni internazionali, con «quello altrove» verso cui Escobar-Ulisse si avviava, col desiderio d'ignoto e di attraversamento delle tante «geografie nascoste del mondo», con la consapevolezza che la Storia è fatta di tante storie, di pochi direttori generali e di tantissimi ministri, impossibilitati a realizzare quello per cui vengono chiamati, a causa delle brevi permanenze del loro mandato.

Proprio a costoro e alla politica dei politicanti, dedica ben nove «Scenari», velenosi, che hanno di mira la politica del teatro, in particolare pubblico, dichiarando la complementarietà tra la figura dell'Organizzatore e dell'Artista, ovvero dei binomi Grassi-Strehler, Escobar-Ronconi, vantando la necessità di una Legge dello Spettacolo organica, della quale, ancora, si parla invano, del rapporto tra il creare e il fare, tra lo strapotere degli apparati di controllo e le corrette gestioni, tra il bene comune e il bene di nessuno, tra burocrazia e inerzia, tra i c tortuosi scenari della politica e la semplicità della creazione artistica, tra il Teatro e l'Acqua, trattandosi di beni comuni, come aveva già ammonito Paolo Grassi, colui che seppe osare tutto contro tutti.

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