Politica

Le coop vogliono scalare Parmalat

Nicola Porro

Parmalat non è ancora quotata e già si preannuncia bagarre. La società alimentare che ha fatto un crac da 14 miliardi di euro, coinvolgendo centinaia di migliaia di risparmiatori, sarà oggetto della prossima incandescente battaglia finanziaria d’autunno. Gli ingredienti ci sono tutti: cooperative cattoliche e rosse, cause miliardarie, interessi della politica, finanza internazionale, concorrenti stranieri e un’Opa che partirà a fine ottobre. Vediamo i dettagli del feuilleton finanziario di fine anno.
Da una parte il gruppo Granarolo con banca Intesa (con l’assistenza di Rothschild, McKinsey, lo studio dell’avvocato D’Urso ed Ernst Young) e dall’altra i francesi di Lactalis, finanziati e assistiti da Deutsche Bank. In mezzo fondi speculativi di mezzo mondo (hedge fund) che stanno facendo man bassa di titoli (per ora solo virtuali) Parmalat.
A metà ottobre, ma a Mediobanca sperano agli inizi del mese, il titolo Parmalat ritornerà sul listino di Borsa. Suoi azionisti saranno, secondo la complessa procedura fallimentare messa in piedi dal commissario Enrico Bondi, i creditori del crac Parmalat.
Il piano di Granarolo e Intesa (studiato dalla divisione corporate di Intesa guidata da Gaetano Miccichè con gli uomini di Rothschild Italia), di cui il Giornale è in grado di darvi un’anticipazione, è decisamente innovativo. E passa per un’Opas: una scalata fatta con azioni e contanti. Ecco i dettagli per un ipotetico creditore Parmalat.
A fine ottobre i suoi crediti verranno trasformati in azioni della Nuova Parmalat, pulita dai debiti della gestione Tanzi e dimagrita dalle vendite. Secondo i prezzi fatti segnare ieri sul mercato grigio inglese la futura Parmalat in bonis vale tra i 4,3 e i 4,7 miliardi. Il suo margine operativo nel 2005 è previsto vicino ai 300 milioni di euro. Società simili nel mondo vengono valutate sette volte il margine operativo meno i debiti. Per farla breve oggi Parmalat dovrebbe valere 1,7 miliardi secondo i suoi soli conti economici. La differenza di circa tre miliardi è data dalla speranza che nel futuro le cause intentate da Bondi vadano a buon fine: il commissario ha infatti richiesto risarcimenti alle banche per la cifra monstre di 40 miliardi di euro.
Granarolo offrirà dunque agli azionisti Parmalat una parte in contanti ed una parte in azioni di una nuova società che sta quotando sul mercato Ristretto (come anticipato dal settimanale il Mondo si tratta della Vsg). Il pagamento in contanti sarà di circa un euro: un prezzo che rispecchia il solo valore industriale della Nuova Parmalat.
La differenza di un euro e mezzo (rispetto al valore di Borsa di fine ottobre che presumibilmente sarà vicino ai 2,5 euro) sarà invece data da azioni della Vsg. Una scatola vuota che avrà come sua missione quella di incassare i proventi delle cause miliardarie di Bondi (si stima che su un totale di 40 miliardi è verosimile che i giudici concedano tre miliardi) e di restituirli agli azionisti della Vsg come dividendi al 100%. La Vsg sarà ampiamente scalabile e potrebbe paradossalmente essere oggetto del desiderio proprio per coloro, le grandi banche, che stano perdendo le cause con Bondi: da una parte pagherebbero i risarcimenti e dall’altra, comprando Vsg, si assicurerebbero i dividendi generati per l’appunto dai loro pagamenti. Insomma un gioco dell’oca che dà un plus di appetibilità per l’intera costruzione.
In finale all’ex creditore Parmalat, a fine ottobre diventato azionista, verranno dati subito dei contanti e un titolo che incorpora la possibilità di incassare nel futuro nuovo contante derivante dalle cause intentate da Bondi.
Per Granarolo si tratta di un colpaccio (i cui risvolti Antitrust racconteremo nei prossimi giorni). Dal punto di vista finanziario piuttosto oneroso: oltre a 1,7 miliardi necessari per lanciare l’Opa in contanti, si devono sommare circa 600 milioni di debiti, tra cui quelli della Nuova Parmalat. Nell’operazione, la società guidata da Luciano Sita sarà però affiancata da Intesa, che tra poco entrerà con il 20% nel capitale di Granarolo, e da una nutrita pattuglia di banche italiane. Queste ultime infatti reinvestiranno in Granarolo quanto otterranno dall’Opa in contanti.
La scommessa a questo punto è capire chi saranno gli azionisti, agli inizi di ottobre, di Parmalat. Oggi più del 50 per cento del capitale è in mano a hedge fund che hanno comprato i crediti dai singoli obbligazionisti Parmalat. E almeno il 20% del capitale sarebbe in mano a fondi vicini a Deutsche Bank che insieme a Lactalis sta mettendo in piedi un’alternativa a quella italiana. Le banche italiane, che inizialmente avrebbero dovuto avere il 17%, hanno già in parte venduto i propri crediti (certamente lo ha fatto la Bipielle e anche SanPaolo) e sono accreditate di poco più del 12%.
In questo magma, a cui aggiungere banche estere, privati e fornitori, si decideranno le sorti della nuova Parmalat.
L’operazione Intesa-Granarolo (inizialmente battezzata Carolina) andrà in porto solo se il 50% più uno degli azionisti dirà di sì all’Opas. È su questo potere di interdizione che l’asse francotedesco sta lavorando.
Da una parte le coop rosse di Granarolo si gettano in un’acquisizione più grande di loro. Dall’altra una pattuglia di stranieri, con la solita e attivissima Deutsche Bank, si mette di traverso.

Attori e profili non nuovi sulla scena della recente cronaca della finanza italiana.
Nicola Porro

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