Cronaca locale

"Corruzione? In Comune non credo sia l'unico caso"

Allarme del presidente del Comitato antimafia. "Resistono sacche diffuse e si è ingegnerizzata"

"Corruzione? In Comune non credo sia l'unico caso"

«Il Comune mantenga alta la guardia, perché resistono sacche di corruzione, vere e proprie enclaves». Nando Dalla Chiesa, presidente del Comitato antimafia di Palazzo Marino e docente all'Università Statale di Sociologia della criminalità organizzata, commenta con preoccupazione lo scandalo che ha colpito Palazzo Marino.

La cosa più impressionante sono i lingotti. È tornata Tangentopoli?

«È presto per dirlo, anche se è vero che i lingotti ricordano i soldi nei puff dei Pogggiolini. Ma purtroppo non c'è bisogno di questa notizia per sapere che la corruzione è molto diffusa e per certi aspetti si è ingegnerizzata».

È stato fatto poco per combattere la corruzione?

«Quello che è stato fatto, perché è stato fatto, non è bastato. Ci sono molti dirigenti attenti al tema della legalità. Ma resistono enclaves di corruzione: ci sono numerose segnalazioni. Si vedeva già nei pranzi legati al caso Formigoni e alla Regione. C'è un fenomeno mimetico della corruzione che ha trovato forme di sottrazione ai controlli».

Quali sono queste forme nuove nelle quali si annida la corruzione?

«Non c'è la consegna di una somma contro un atto, si inventano prestazioni che possono essere retribuite in modo ineccepibile. Lo schema nuovo che emerge alla Commissione antimafia è che non ci sono più un imprenditore e un funzionario, ma è il funzionario che si fa imprenditore. Nascono imprese in cui c'è una mescolanza di imprenditore, parente del funzionario, cugino commercialista. Imprese giuridicamente private ma che in realtà contano su risorse pubbliche: quello che decide è con me e parteciperà agli utili dei suoi amici».

Oltre a Mafia capitale c'è un sistema Milano?

«Non credo che questo sia l'unico caso che c'è in Comune. Il modello è un po' diverso da Mafia capitale. Questa è criminalità organizzata dei colletti bianchi, non mafia. Ci sono segnali in altre regioni, però a Milano e in Brianza c'è un modello che si è formato e ha trovato qui il suo punto di sviluppo ed eccellenza. Tu sei dentro la struttura pubblica, fai nascere l'impresa, conosci i bandi e sei avvantaggiato, sai come andrà a finire o fai addirittura costituire un'impresa con quei requisiti. Metti dentro persone vicine e fai una partnership d'impresa che si presenta privata ma ha dentro soci pubblici che sono occulti».

Serve più prevenzione dal punto di vista legislativo o è un tema morale?

«È chiaro che molto dipende dalle teste e dalle coscienze. Non puoi regolamentare tutto. Ci vorrebbe più attenzione ai tenori di vita. Se un capo vede un dipendente che campa da signore, si chiede: come mai? Comincia a stare attento alle pratiche che gli passano tra le mani, smette di dare fiducia totale nella gestione degli appalti. È prassi normale nella buona amministrazione pubblica».

Pisapia dice che si tratta solo di qualche mela marcia. Non c'è il rischio di sottovalutare, come con i mariuoli di Tangentopoli?

«Il rischio di non rendersi conto dall'alto delle enclaves della corruzione e di non conoscerle, questo rischio c'è. Non credo che quello di Pisapia sia il linguaggio di chi vuole assolvere, credo che interverrà e abbia a cuore la questione. Però le abitudini che si sono incrostate tendono a rimanere, soprattutto se non sono sanzionate. È singolare che sia Grillone che Acerbo, entrambi coinvolti in inchieste, abbiano avuto riconoscimenti civici da parte dell'amministrazione comunale. Serve un po' più di attenzione, che non vuol dire certo sospetto».

Forse il Comitato antimafia ha pochi poteri?

«Certamente la corruzione apre la strada alla mafia, ma intervenire non è una nostra competenza».

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