Politica

Cota escluso dalla festa Pd Tremonti e la Lega cestinano l’invito

RomaLa Lega di Roberto Cota dichiara guerra al Pd di Mercedes Bresso. E ci va di mezzo la Festa democratica di Torino: con un durissimo comunicato, ieri, i ministri Giulio Tremonti, Roberto Maroni e Roberto Calderoli hanno sbattuto la porta e respinto l’invito del Pd a partecipare ai dibattiti della festa nazionale del principale partito di opposizione.
Una decisione giustificata con l’atteggiamento «non democratico» degli organizzatori della festa del Pd, che «non accettano il voto popolare e neppure rispettano le istituzioni». «Non è pensabile - affermano i ministri in una nota congiunta - che il governatore Cota, eletto dal popolo e in carica, non sia stato invitato in un contesto in cui sono stati invitati altri rappresentanti istituzionali. Si vuole far credere che esista una mancanza di legittimazione e di funzionalità in un’istituzione importante come la presidenza della Regione. Questo atteggiamento è appunto antidemocratico e irresponsabile dal punto di vista istituzionale. La posizione degli organizzatori denota, inoltre, un'idea della politica, legata al palazzo e alle poltrone e non alle idee, che non ci trova d'accordo».
E così, siccome per altri motivi, legati al clima politico, anche il presidente della Camera Gianfranco Fini aveva declinato l’invito, sarà il presidente del Senato Renato Schifani l’unico a rappresentare la maggioranza davanti alla platea democratica.
Le reazioni del Pd non si fanno attendere: non abbiamo invitato Cota per «evitare polemiche», ammette il capo della segreteria Filippo Penati, visto che il politico leghista è «oggetto di un ricorso sulla validità della sua elezione», da parte della ex governatrice piemontese Bresso. E Penati sottolinea che non c’è alcun dovere istituzionale di invitare le autorità politiche locali: «Nel 2008 ero presidente della Provincia di Milano in carica, ma non venni invitato alla festa nazionale del Pdl che si teneva lì. E non feci alcun comunicato».
Già la scorsa estate, la rovente estate delle escort e del caso D’Addario, arrivò il rifiuto in blocco di tutti i ministri del centrodestra di partecipare alla festa Pd, per protesta contro le dichiarazioni dell’organizzatore Lino Paganelli, secondo il quale il Pd non aveva invitato il premier Silvio Berlusconi perché è uso dei democratici «fare feste e non festini».
Il dietrofront di oggi è solo «un pretesto per sottrarsi al confronto», ha ribattuto ieri ai ministri Lino Paganelli, che afferma di non voler accettare «lezioni di democrazia» dalla Lega: «Ci piacerebbe sapere se anche il Carroccio nelle sue feste intende aprire il dibattito a esponenti del Pd e quanti sono gli eletti o i dirigenti finora invitati».

Sta di fatto che chi quest’anno, soprattutto nell’opposizione, aspettava con ansia i faccia a faccia della festa Pd (Tremonti, ad esempio, avrebbe dovuto duettare con Massimo D’Alema) per sondare la praticabilità di governi di larghe intese, sarà deluso.

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