Cronaca nera

"Dallo zio solo avances verbali": i fratelli Orlandi scaricano ancora sul Vaticano

Pietro e Natalina Orlandi smentiscono e motivano l'impossibilità di una pista famigliare: lo zio Mario Meneguzzi non c'entra con la scomparsa di Emanuela Orlandi

Screen Associazione Italiana della Stampa Estera via Facebook
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"Dallo zio solo avances verbali": i fratelli Orlandi tornano a puntare il dito sul Vaticano

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La famiglia Orlandi respinge la teoria di una presunta pista famigliare ventilata ieri sera nel TgLa7: lo zio Mario Meneguzzi, secondo il loro racconto, non avrebbe potuto avere a che fare con la scomparsa di Emanuela Orlandi, avvenuta il 22 giugno 1983.

Pietro e Natalina Orlandi, insieme alla loro legale Laura Sgrò sono intervenuti in un incontro con la stampa nella sede dell’Associazione Stampa Estera in Italia per chiarire molti punti dello scoop lanciato da Enrico Mentana. “Quello che è successo ieri meritava un approfondimento”, ha spiegato Sgrò, che ha definito quanto accaduto “macelleria della vita delle persone”, ovvero lo zio degli Orlandi, la stessa Natalina e il sostituto procuratore Domenico Sica, che a suo tempo interrogò Natalina Orlandi. Sgrò ha sottolineato che non si tratta di notizie eclatanti, e che erano note da anni.

Natalina Orlandi ha spiegato che le presunte molestie dello zio Mario Meneguzzi altro non sarebbero state “delle semplici avance verbali ma, quando ha capito che non c’era nessuna possibilità, è finita tutto lì”. Tra l’altro la questione risale al ’78, quando Natalina aveva 21 anni, ben 5 anni prima della scomparsa della 15enne. Natalina ha aggiunto di averne parlato solo con il padre spirituale e con Andrea, fidanzato dell’epoca e oggi suo marito: “Non sarei andata mai a parlare con mio padre. Non ci sembrava il caso di dargli un dolore nel dolore. Le nostre famiglie hanno continuato a convivere come se niente fosse. A me della mia vita messa in piazza non interessa nulla. Mi dispiace per la moglie 90enne di mio zio, i figli, che non sapevano niente”.

Natalina Orlandi, che afferma di aver lavorato alla Camera dei Deputati dopo aver vinto un concorso pubblico, era andata da Sica per parlare della cassetta recapitata a luglio 1983 all’Ansa e che conteneva delle urla di presunte torture che, secondo alcuni, apparterrebbero proprio a Emanuela Orlandi. Ma Sica la interrogò invece sulle avance dello zio. Inoltre Natalina ebbe un incontro con monsignor Giovanni Angelo Becciu, in cui il religioso le fece sapere che erano al corrente delle avance e che, se avessero fornito gli atti di inchiesta, avrebbero dovuto divulgare anche questo particolare.

I fratelli Pietro e Natalina Orlandi escludono che lo zio possa aver fatto delle avance a Emanuela, intanto per una questione di età - all’epoca la giovane scomparsa aveva 15 anni - e Natalina ha aggiunto che, se ci fosse stata più di qualche parola da parte del congiunto, non avrebbe lasciato cadere la cosa.

Critico e arrabbiato Pietro Orlandi, che ha esordito con la sua reazione nell’ascoltare il servizio al telegiornale: “Ho pensato: ma che carogne”. L’uomo crede che sia un modo per “scaricare sulla famiglia” le responsabilità della scomparsa. Ma la pista famigliare è impossibile: l’uomo dell’identikit non poteva essere Mario Meneguzzi, che in quel momento era nel Reatino in villeggiatura con la famiglia. Tanto che Ercole Orlandi lo chiamò nella casa delle vacanze appena si comprese che la figlia era svanita nel nulla - per chiedergli aiuto, dato che erano molto legati. Inoltre l’avvocato del tempo non sarebbe stato presentato agli Orlandi dallo zio, bensì da un carabiniere di stanza al Sisde.

Pietro Orlandi ha ricordato che Mentana avrebbe suggerito di cassare la Commissione parlamentare, e che quella Commissione parlamentare non è solo sulla sorella, ma anche su Mirella Gregori. Il fratello della scomparsa - che ha affermato di avere fiducia nell’attuale Parlamento e nell’attuale Governo - nutre molte delle sue speranze nella Commissione, perché crede che in questo modo lo Stato, che per tanti anni “è stato succube” del Vaticano, potrebbe approcciarsi, con la volontà del 40 parlamentari che ne faranno parte, alla verità, perché la Commissione “non può essere controllata”.

A questo punto mi aspetto una dichiarazione da Lo Voi e Diddi (che stanno conducendo le indagini rispettivamente per la procura di Roma e per il Vaticano, ndr), che si tirino fuori da questo fatto - ha rimarcato Pietro - Dicano qualunque cosa, non rimangano in silenzio. Ho capito che in questa inchiesta, voluta da papa Francesco, il pontefice volesse fare passi avanti ma ci sono persone che non vogliono che si arrivi alla verità. Qualcuno all’interno del Vaticano sta facendo di tutto per spostare l’attenzione. Diddi sta lavorando per arrivare a una verità di comodo. Vorrei incontrare papa Francesco per raccontagli delle carogne che gli girano intorno”.

Pietro Orlandi ha affermato di sapere che alcuni “cardinali stanno agganciando senatori per votare contro la Commissione”.

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