Cronaca nera

Il grande inganno dei nostri tempi che miete vittime innocenti

Come applicare il concetto di diritto alla felicità sul rapporto di coppia di fronte alla violenza egoistica di un uomo che ha ucciso brutalmente la moglie?

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Il 18 aprile del 2011, Salvatore Parolisi uccide Melania Rea, sua moglie. È un delitto brutale: 35 coltellate inferte con forza disumana. Forse con odio e disprezzo. Certamente con un unico obiettivo: ammazzarla. Fare fuori quella donna che ormai è diventata di troppo perché lui, Salvatore, ha iniziato una nuova relazione con Ludovica, per la quale ha perso la testa. Le confessa (mentendo) che sta per separarsi, che l’amore con sua moglie è ormai al capolinea e che desidera rifarsi una vita. Affinché tutto ciò possa realizzarsi, però, Parolisi deve eliminare sua moglie, che ha scoperto tutto. Melania diventa un ostacolo per la felicità di Salvatore e, come tale, deve essere eliminata.

Il crimine si compie in un bosco. Parolisi la colpisce ripetutamente e poi la lascia agonizzante. Tornerà da lei solo per provare a inquinare la scena del delitto e sviare gli investigatori, incidendole una svastica sul corpo e conficcandole una siringa sul petto. L’orrore sull’orrore di un uomo che si crede onnipotente, come ha dimostrato anche nella sua ultima intervista a Chi l’ha visto?, e che, in una visione distorta della realtà, è disposto a tutto pur di seguire quella che giudica essere la sua felicità. Parolisi si crede assoluto, cioè sciolto da ogni legame. Al di sopra di tutto e di tutti. Ma è solo un brutale carnefice che porta alle più estreme e tragiche conseguenze quello che oggi viene chiamato “diritto alla felicità”.

Chiunque viva sulla faccia della terra, a meno che sia un masochista, desidera essere felice. Chiunque di noi aspira a un compimento vero. A uno stato di benessere dell’anima. Ma come farlo? Come raggiungere questa soddisfazione profonda del nostro cuore? Bene, essere felici sempre e comunque non è possibile. Massimo Fini, di fronte a un bicchiere di vino e masticando una Gauloises, afferma che possiamo essere contenti della (e nella) nostra vita. Ma felici solamente per brevi momenti di essa. Poi basta.

La felicità sembra dunque essere una sorta di supernova che, dopo esser esplosa, sparisce. Lascia delle tracce ma non esiste più nella sua interezza. E così resta in noi solo un velo di tristezza. A tal proposito, Emanuele Samek Lodovici in Una vita felice (Edizioni Ares) parla di “natura dialettica” della felicità: “Anche quando i beni ci arrivano, contemporaneamente ci portano all’incapacità di apprezzarli o una sorta di insofferenza corrispondente”. Essere felici, nell’accezione che abbiano detto, è dunque impossibile.

Da dove arriva quindi il concetto di diritto alla felicità di cui tanto si parla oggi? Dal Settecento, da quello che tutti definiscono il secolo dei lumi, che è venuto, almeno in quella che è la storiografia ufficiale, a riscattare gli anni bui del Medioevo. È durante l’Illuminismo che si passa da un concetto attivo di diritto a uno passivo, sottolinea Samek Lodovici, che aggiunge: “Diritto alla felicità significa non più che il soggetto esige a sé i mezzi e le azioni per diventare felice, bensì che gli altri hanno il dovere di farmi felice, perché io ho un diritto alla felicità. E se gli altri non mi fanno felice, gli altri hanno torto”. Si diventa così il centro del mondo. Onnipotenti. Ma con lo sguardo fisso unicamente sul nostro ombelico.

Se trasliamo il concetto di “diritto alla felicità” sul rapporto di coppia comprendiamo nelle sue radici più profonde, e dunque più tragiche, la violenza egoistica di Salvatore contro Melania. “Gli altri hanno il dovere di farmi felice. Allora diventa inevitabile che se quella persona non è più in grado di assecondare le mie richieste, allora il rapporto si indebolisce e le relazioni diventano solo a tempo. Io avrò soltanto relazioni con una persona fino a che essa mi rende felice, senza minimamente chiedermi cosa faccio io per lei”, scrive Samek Lodovici. E questo è proprio quello che si aspettava Parolisi che, nell’intervista a Chi l’ha visto?, si lamenta di una moglie che giudica assente e manchevole. Dice di amarla, senza comprendere che il tratto distintivo dell’amore è il dare e non il ricevere. Che come non esiste alcun diritto alla felicità non esiste alcun diritto all’amore. Esiste solo il dovere di amare. Che è una azione che ci fa mettere la persona amata davanti a tutto. Davanti alla stanchezza e alle fatiche della vita. Che ce la fa amare, magari anche dopo un momento di incazzatura, per quello che è perché ha un valore, indipendentemente da quello che ci sta dando o può dare.

Il diritto alla felicità porta con sé un’atroce conseguenza: “Il problema dell’eliminazione più o meno incruenta di chi non mi rende felice”, nota Samek Lodovici. E questo vale per il figlio, sia esso già nato o ancora nel grembo, o la moglie (o il marito) che vengono visti come ostacoli a nuove storie apparentemente più entusiasmanti.

Ma questo è solo il grande inganno dei nostri tempi.

Che miete vittime innocenti.

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