Cronaca nera

Sparò al vicino sulla ruspa, il figlio: "Casa nostra è distrutta"

Cade l'accusa di omicidio volontario nel caso del delitto di Arezzo: prima di aprire il fuoco contro il vicino albanese che stava distruggendogli casa con la ruspa, Sandro Mugnai gli avrebbe più volte urlato di fermarsi e avrebbe sparato una prima volta a terra

La casa colpita dalla ruspa
La casa colpita dalla ruspa

La famiglia Mugnai vivrebbe ancora adesso da alcuni parenti, visto che la loro casa rimane a serio rischio crollo dopo i danni che ha subìto. Ma dopo la scarcerazione di ieri, sarebbe caduta anche l'accusa di omicidio volontario: la tesi della legittima difesa, portata avanti dai legali dell'uomo, sembra aver convinto anche il giudice del fatto che Sandro Mugnai abbia aperto il fuoco a causa del pericolo concreto per sé e per i suoi cari. Questi gli ultimissimi sviluppi legati all'omicidio di Arezzo, che ha portato alla morte del cinquantanovenne albanese Gezim Dodoli e all'iniziale arresto del cinquantatreenne artigiano. Gli investigatori hanno com'è ormai noto ricostruito a grandi linee la dinamica dei fatti: lo straniero sarebbe salito su una ruspa ed utilizzando la benna avrebbe prima danneggiato le auto del vicino, per poi colpire le pareti esterne dell'immobile.

In quel momento, la famiglia Mugnai si trovava all'interno dell'edificio ed un colpo particolarmente deciso avrebbe minato la solidità del tetto, rischiando di far crollare. Proprio nelle scorse ore sono però emersi ulteriori particolari, risultati a posteriori decisivi per la scelta della magistratura: durante l'attacco con il mezzo, il fratello di Sandro (che vive in una delle abitazioni della frazione aretina di San Polo) avrebbe più volte invitato Dodoli a calmarsi e a spegnere il motore. E lo stesso avrebbe fatto Mugnai: avrebbe urlato all'ex-amico di smetterla, visto che così facendo avrebbe ammazzato tutti: nessuna risposta. Avrebbe poi imbracciato la carabina che deteneva per la caccia al cinghiale ed avrebbe sparato un primo colpo a terra, ripetendo al balcanico di fermarsi. Una richiesta che quest'ultimo avrebbe nuovamente ignorato ed è a quel punto che il padrone di casa, temendo per la sua vita e per quella dei suoi familiari, avrebbe sparato verso di lui, uccidendolo.

I rapporti fra i due nuclei familiari erano poi peggiorati, ma nulla lasciava presagire quel che sarebbe poi avvenuto: trent'anni fa, quando il balcanico arrivò in Italia moglie e figli, nacque subito un rapporto di amicizia con i Mugnai che sembrava saldo. Poi i Dodoli si trasferirono a Milano e quando il solo Gezim tornò in Toscana, qualche tempo fa, il rapporto si ruppe a causa di banali questioni vicinato. Sarebbero stato l'insieme di tutti questi elementi ad aver convinto il giudice per le indagini preliminari. Anche se la questione non è ancora chiusa e nelle prossime ore potrebbero esserci ulteriori novità. "Pensiamo, e lo pensa tutto il paese, che la scarcerazione del babbo sia giusta. Purtroppo so che questa storia non è ancora finita - ha dichiarato Mattia Mugnai, figlio di Sandro, al quotidiano La Nazione -restano la tragedia e la paura che abbiamo avuto, siamo ancora sotto choc. Noi non abitiamo più a casa nostra perché la struttura è stata resa inagibile.

E non so neanche se riusciremo mai più a rientrarci, viste le condizioni in cui si trova”.

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