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Dopo 100 anni Trump chiude l'impero americano

Nel 1917 il presidente Wilson si lanciò nel gioco mondiale. Ora si ritira

Dopo 100 anni Trump chiude l'impero americano

Sono passati cento anni e tante americhe, ma se Woodrow Wilson apre la porta del secolo americano, Donald Trump si prepara a chiuderlo. È la metamorfosi di un impero.

America first. L'America viene prima. Produci americano, compra americano, lavora americano, sogna americano. Il discorso di Trump è una geremiade, una predica, che vuole scuotere l'orgoglio dell'America profonda, quella lontana, periferica, che non ha nulla da spartire con New York e non sente il richiamo dell'Europa. È l'America no global, quella di una classe media che non sa più chi e cosa sia, stremata, preoccupata, impaurita, invisibile. È quella sempre in bilico tra i tormenti di un'ex colonia e il destino di una nazione troppo grande per non essere impero. È un'America che pensa di aver pagato troppo. È l'America che con Trump chiude il secolo americano. Non è un declino. È un cambio di ruolo e di prospettiva. E solo il tempo dirà da che parte ci porta, loro, noi e gli altri.

È da poco iniziato il 1917. L'Europa dall'estate del 1914 si sta suicidando nel sangue e nel fango delle trincee. La chiameranno Grande guerra. Wilson è al secondo mandato come presidente degli Stati Uniti e sta per fare un passo che cambierà la storia. Lì, oltreoceano, non c'era finora tutta questa voglia di buttarsi nel massacro. Non è una rissa americana e poi le banche di New York stanno prestando soldi agli uni e agli altri, alle democrazie e agli imperi e se uno mette in gioco il denaro non è saggio schierarsi. Solo che qualcosa nell'opinione pubblica sta cambiando. C'è la storia del Lusitania che ancora fa piangere.

A maggio del '15 un sottomarino U-20 tedesco ha silurato un transatlantico americano davanti alle coste dell'Irlanda. È vero, i tedeschi hanno promesso di non farlo più, ma adesso, a gennaio del 1917 la guerra spietata sotto il mare del kaiser è ricominciata e senza distinguere troppo tra imbarcazioni civili e quelle militari. Wilson in realtà sa che l'America è pronta a prendersi il secolo, il ventesimo, il Novecento, quello che è iniziato carico di ottimismo e con alle spalle la stagione danzante della Belle époque. L'impero britannico non è ancora tramontato, ma già si sentono i primi scricchiolii.

Quello ottomano è un cadavere in putrefazione e il corpaccione multietnico degli Asburgo è morto a Sarajevo. La Russia degli zar sta andando incontro al suo destino e Lenin sta già mettendo le valigie sul treno che porta alla rivoluzione. Wilson ha bisogno di una scusa per entrare in guerra.

Le ragioni filosofiche già ci sono e saranno poi sintetizzate nei famosi 14 punti: il dovere dell'America è difendere la democrazia, ovunque ce ne sia bisogno. È un nuovo modo per chiamarsi impero. È la genesi dei gendarmi del mondo. Washington non è Londra, non mette bandierine sulle colonie e disegna rotte commerciali. L'America è il mondo. È la società delle nazioni. Sarà l'Onu. L'America è globale. Questo è l'orizzonte del secondo presidente del Partito democratico degli Stati Uniti dopo il generale Andrew Jackson, l'idolo dei farmers della frontiera del West e della guerra agli indiani, il rivale di David Crocket. Ma se l'America di Jackson guardava al Messico quella di Wilson non ha più frontiere. La svolta arriva il 19 gennaio del 1917. Gli inglesi intercettano un telegramma del ministro degli Affari esteri tedesco Zimmerman al governo messicano. C'è la proposta di un'alleanza e un patto per la riconquista dei territori perduti del Nuovo Messico, del Texas e dell'Arizona. Sembra fantapolitica. Ma Wilson fa arrivare il testo a tutti i giornali americani. Indignazione. Il 6 aprile gli Stati Uniti dichiarano guerra alla Germania e tre milioni di soldati si riverseranno sui fronti europei. È il principio della mondializzazione, un nuovo assetto geopolitico che ruota intorno alla finanza anglo-americana.

Donald Trump ha già fatto sapere che Washington smetterà di finanziare quell'ente inutile chiamato Onu. In qualche modo c'è sempre di mezzo il Messico. L'America non vuole smettere di essere prima nel mondo.

Ma lo farà da casa sua.

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