Cronache

Addio a Quilici, il narratore di terra e mare

Non ha mai avuto bisogno di barare. La telecamera serviva a portare gli altri dentro i suoi occhi. Il resto era lui, i viaggi, le storie, il mare, le mappe, le prime immersioni con scafandri di fortuna, la curiosità, quel modo di raccontare l'inverosimile senza trucchi e giochi di prestigio, cercando oltre l'ultimo (...)

(...) confine qualcosa di inedito e sconosciuto. Al centro di ogni esplorazione sempre lo stesso sguardo, a misura d'uomo, a tu per tu con la vita e le cose di questo pianeta ai confini dell'universo. «Avevo un vecchio atlante, sul quale mio padre aveva tracciato dei segni di matita rossi e blu - disse una volta in un'intervista -. Su quell'enorme volume, che trattavo con una certa sacralità, io cercavo disperatamente Mompracem e tutti i luoghi dei miei libri di avventure».

Folco Quilici non ha mai smesso di raccontare storie e di cercare la parte più profonda di se stesso. Una volta disse che andava in giro per non fare i conti con il proprio inconscio, con certe paure che ti porti dietro da bambino, con il ricordo del padre scomparso sul cielo della Libia, in quel maledetto idrovolante su cui viaggiava in compagnia di Italo Balbo, buttato giù da fuoco amico. Nello Quilici, il padre, era un grande giornalista che la storia ha messo da parte troppo in fretta. E il suo libro-inchiesta scritto nel 1935, Fine di secolo. Banca romana andrebbe ripubblicato non solo per la bellezza ma per capire tanti aspetti del potere e della democrazia italiana oggi. Il protagonista è Giolitti ma sembra raccontare quello che sta accadendo adesso.

Folco ha vissuto la sua vita nel nome del padre. L'amore per i viaggi e l'avventura comincia da lì. «Il primo vero viaggio carico di ricordi, di suggestioni e soprattutto di emozioni, fu quando compii otto anni: un lungo itinerario via mare da Venezia lungo tutta la Dalmazia, l'Albania, sino alla Grecia con visita al Partenone». È in quell'Italia in odore di autarchia che Folco fa sua la riflessione di Amleto. «Ci sono molte più cose in cielo e in terra di quanto la tua filosofia possa comprendere». È questo il demone che lo spinge nel profondo degli oceani e nei punti oscuri della storia. È la curiosità che lo assilla, lo invita a partire per un altro viaggio, lo rende irrequieto e lo spinge ad abbandonare per un po' la quiete del casolare di Ficulle, non lontano da Orvieto. Quelli come lui non possono stare per troppo tempo a casa, perché soffrono della stessa ossessione dell'Ulisse dantesco. Non è solo desiderio di avventura, ma la maledetta ansia di conoscere qualcosa che ti sembra di aver immaginato. E allora ti chiedi: chissà se in Polinesia o nei ghiacci dell'Alaska esiste davvero? L'unico modo per saperlo è andarci di persona. Vedere, capire e poi raccontare. È semplice, in fondo. Non è neppure necessario andare sempre lontano. «Sono andato in Molise qualche primavera fa. Ho scoperto che c'è un treno da Campobasso a Teramo che attraversa l'Appennino con boschi favolosi; uno diverso dall'altro, di castagni, olmi, e vallate, e i pastori. La gente magari va a prendere un trenino uguale in Canada, senza conoscere quel treno là. Io vedo le sofferenze dei viaggiatori delle ferie: aerei che non partono, 48 ore fermi in un aeroporto, valigie che si perdono, furti. È più divertente cercare di andare dove si può scoprire qualcosa, che andare a ritrovare quello che lasciamo».

Folco Quilici non si è riconosciuto nei suoi troppi eredi, i documentaristi di massa che cercano di stupire con gli effetti speciali o che partono senza curiosità, ma solo per dare voce a un pregiudizio ideologico, gente che vede solo quello che pretende di vedere. Non è mai stato di quella schiatta. I suoi viaggi erano interpretazioni del mondo e come sherpa sceglieva maestri del pensiero come Fernand Braudel o Lévy-Strauss come fece per gli otto documentari su L'uomo europeo. Te ne accorgevi nei suoi film. Ultimo paradiso lo scrisse con Ennio Flaiano e Tikojo e il suo pescecane con Italo Calvino. La Rai degli anni d'oro è stato il suo palcoscenico. Negli anni Sessanta, Quilici sorvolò l'Italia in elicottero per produrre un ciclo di quattordici film, L'Italia vista dal cielo, e poi i diversi episodi Alla scoperta dell'Africa, La provincia non c'è più, Islam, L'alba dell'uomo. Nel 1971 prese le redini della rubrica Geo, su Raitre, curata fino al 1989.

Se ne è andato via a quasi 88 anni con alle spalle un desiderio non realizzato. L'uomo che ha camminato e nuotato in ogni angolo del mondo sognava di andare in Irlanda. Non c'è mai stato. Tutte le sue domande senza risposta sono invece sommerse in uno dei suoi romanzi più belli, Cacciatore di navi, lì dove le acque dell'Atlantico si confondono con il Rio delle Amazzoni e l'orizzonte è avvolto in dense e imperscrutabili foschie. Buon viaggio Folco.

Vittorio Macioce

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