Cronache

Altro che libertà è solo un insulto alla nostra Storia

Altro che libertà è solo un insulto alla nostra Storia

Sono lieto che monsignor Zuppi, arcivescovo di Bologna, mi abbia rassicurato sulla sua passione per i tortellini di Bologna, con il ripieno di carne di maiale. L'idea di farcirli con carne di pollo aveva qualcosa di umoristico, e sembrava una triste concessione al ricatto morale dei musulmani residenti a Bologna.

La carne di maiale è una prerogativa dell'Occidente. A Ferrara sarebbe impensabile sostituire la salama da sugo, unica e mitica, con un insaccato di pollo. Mentre scrivo, avendo avuto l'avvertenza di chiamare monsignor Zucchi, che ha smentito tutto, anzi, mi ha detto di aver letto con sorpresa e costernazione la notizia della proposta dei tortellini di pollo a lui attribuita («sarei matto a contrastare una grande tradizione bolognese!»), penso ai nuovi tabù che caratterizzano il nostro tempo, impensabili fino a qualche anno fa.

Monsignor Zuppi è un uomo ironico e ricorda quando io andai, qualche mese fa, a celebrare la mortadella sul sagrato della basilica di San Petronio con il vescovo vicario, ricordando che nel 1661 per regolarne la produzione fu pubblicato un bando dal cardinale Girolamo Farnese, legato pontificio di Bologna, che impediva la produzione di mortadella con carni diverse da quelle del maiale, anche perché tale reato provocava «un grave pregiudicio del Pubblico, e particolarmente della Dote che gode ab antiquo detta città di fabbricar Mortadella di squisita perfezione». Saggia Chiesa: il primo provvedimento al mondo a tutela di una specialità gastronomica. Zuppi aggiunge: «Come ci sono i vegani, se qualcuno vuole i tortellini con il ripieno di pollo, se li faccia fare appositamente; ma nessuno tocchi i tortellini bolognesi».

E la giornata ci riserva altre sorprese: il silente sottosegretario del ministro dell'Istruzione Bussetti, Lorenzo Fioramonti, diventato ministro, ora parla e cerca di esistere; e, non avendo argomenti migliori delle tasse sulle merendine, propone di togliere Cristo e Mattarella dalle aule scolastiche. Doppio errore, ma almeno un miglioramento rispetto a quelli che, con rabbia iconoclasta, pensavano di togliere il Crocifisso e di lasciare Mattarella (o, volta a volta, Scalfaro o Napolitano). Il secondo è il simbolo dello Stato; in tutti gli uffici pubblici rappresenta il valore della politica (educazione civica) e dell'Italia (storia e geografia). Il primo richiama i valori di umanità e di amore fra gli uomini. Non è un potente, è un uomo in croce, umiliato, che soffre. Dovremmo prendercela anche noi con lui? E con quale logica? L'obiettivo è renderci orfani dello Stato e della religione, cancellandone le tracce. Questa insensata lotta al crocifisso, che non è per non metterlo dove non c'è, ma per toglierlo dove c'è, non è una affermazione di libertà religiosa ma un crimine contro la storia. La religione rappresenta la speranza. Ma la religione cristiana è la storia di un uomo che ha cambiato la storia. Negare le radici della nostra civiltà, della nostra cultura, della nostra morale, che è cristiana con un partito politico laico che si è chiamato per più di mezzo secolo «Democrazia cristiana», esibendo lo Scudo crociato, è una prova di colpevole ignoranza. È la negazione della scuola. Evidentemente Fioramonti non ha letto il saggio di Benedetto Croce: «Perché non possiamo non dirci cristiani». Saggio di un pensatore laico. E «laico» infatti non è contrapposto a «cristiano», essendo la religione degli uomini, ma a «clericale». Togliere il Crocefisso è un atto stupido, significa negare civiltà e storia. Quale preside, oggi, con il conforto di un ministro, negazionista e poco avvezzo alla storia, toglierebbe da un'aula scolastica l'immagine di Dante, di Galileo, di Leopardi, di Newton, di Marconi, cui sono dedicate non aule ma scuole? I barbari hanno deciso di cancellare la civiltà cristiana, scambiandola per una fede nel mistero divino, e non comprendendo che è la storia di un grande uomo che ha cambiato il mondo che è, fortunatamente, ancora il nostro. Un poeta che Fioramonti ignora, Ugo Foscolo, scriveva: «A egregie cose il forte animo accendono l'urne de' forti, o Pindemonte».

Quelle urne oggi forse Fioramonti le devasterebbe.

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