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Ancora prigioniero

L'abbiamo liberato dalle prigioni egiziane, ora bisogna liberarlo dai grimaldelli ideologici disegnatigli attorno da una sinistra decisa a dimostrarne la "lontananza" dal governo Meloni garante della sua "grazia"

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L'abbiamo liberato dalle prigioni egiziane, ora bisogna liberarlo dai grimaldelli ideologici disegnatigli attorno da una sinistra decisa a dimostrarne la «lontananza» dal governo Meloni garante della sua «grazia».

La doppia prigionia, fisica e ideologica, subita tra Egitto e Italia dallo studente cristiano copto Patrick Zaki è ormai evidente. Imprigionato al Cairo per un articolo in cui denunciava le discriminazioni subite dai cristiani copti, Zaki è stato trasformato, suo malgrado, nell'icona delle crociate condotte da Pd e sinistra italiana sul fronte egiziano. Peccato soltanto che a costoro le battaglie di Zaki in difesa dei propri correligionari interessassero assai poco. Refrattari da sempre alla causa cristiana, gli avevano fatto quadrato attorno solo per tenere aperto il caso Giulio Regeni e acuire lo scontro con un presidente, Abdel Fattah Al Sisi, colpevole di aver liquidato la Fratellanza Musulmana, il movimento islamista con cui il Pd aveva, invece, un patto di ferro. Non a caso nel 2016 i dem milanesi sacrificarono la somala Maryan Ismail, musulmana moderata, per portare in Consiglio Comunale la «velata» palestinese Sumaya Abdel Qader, vicina ad Hamas e Fratellanza Musulmana. E se in Parlamento il deputato simbolo dei legami con il Pd è stato - dal 2013 al 2018 - Khalid Chaouqui, ex segretario dei giovani della Fratellanza, a livello nazionale, i governi Pd di Renzi, Gentiloni e Conte bis hanno sempre delegato all'Ucoii (l'Unione delle comunità e organizzazioni islamiche in Italia, lungo braccio della Fratellanza in Italia) i rapporti con le comunità musulmane. Uno schema allargatosi fino a Bruxelles, come dimostrano le mazzette distribuite alla sinistra europea dal Qatar, grande padrino della Fratellanza Musulmana.

Alla luce di tutto ciò, la trasformazione in icona della sinistra - e quindi delle crociate anti-Al Sisi e pro-islamiste - rappresentava per Zaki un'autentica dannazione. Nonostante il fervore comunicativo e le fanfare ideologiche messe in piazza da Bologna al Cairo e da Roma a Bruxelles, è ben chiaro che Al Sisi non gli avrebbe mai regalato la grazia finché questo fosse significato concedere una vittoria ai propri nemici. E infatti la differenza non l'hanno fatta le chiassate propagandistiche di Elly Schlein e predecessori, ma la discrezione e l'impegno del governo Meloni. Impegno e discrezioni fondamentali per far capire ad Al Sisi che la «grazia» non sarebbe diventata una bandiera da sventolare in chiave anti-egiziana, ma un simbolo di ritrovata cooperazione.

E il primo a capirlo - non appena riuscirà a liberarsi dalle catene ideologiche impostegli in questi anni - sarà proprio Patrick Zaki.

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