Cronache

Caro Serra, il radical chic è vivo e ignora il popolo e la storia

Michele Serra attacca Tom Wolfe che critica il mondo della "gauche caviar". Ma la sinistra snob non cambia mai

Caro Serra, il radical chic è vivo e ignora il popolo e la storia

Pochi giorni fa, ricorderete, ci siamo occupati di una bella intervista rilasciata a Repubblica da Tom Wolfe. Sostenevamo che si trattava di un piccolo e magnifico trattato, pubblicato appunto da Repubblica, sul motivo per il quale il pensiero liberal, radical chic, «de sinistra», proprio di Repubblica, è morente. Il punto centrale della critica di Wolfe è che la sinistra «si è ampiamente liberata di qualsiasi empatia per la classe operaia americana. Una sinistra che adora l'arte contemporanea, si identifica in cause esotiche e nella sofferenza delle minoranze, ma disprezza i redneck dell'Ohio».

Era inevitabile che qualcuno a Repubblica se ne accorgesse e ieri Michele Serra, da par suo, se ne è occupato. Il «ripetitivo» Wolfe (vorremmo tutti noi ripeterci bene come lui, caro Serra) sarebbe solo un ricco di destra e, a differenza dei ricchi di sinistra che tanto sfotte, non ha neanche un senso di colpa per la tragica condizione dei più deboli. Il termine radical chic, secondo Serra, sarebbe diventato una clava in mano alla destra per descrivere la sinistra occidentale come un'ipocrita cricca di potenti. Ma il punto omesso, conclude Serra, è che, se è pur vero che la sinistra ha visto compromesso il suo rapporto con il popolo, alla destra del popolo non gliene importa assolutamente niente.

Serra ha ragione su un aspetto. Il termine radical chic, politicamente corretto e via dicendo, è diventato un termine abusato. Descrive uno stile di vita in modo così semplice che la nostra pigrizia ci mette nella condizione di abusarne. Quel che conta resta la critica sostanziale.

La sinistra di cui parla Wolfe, che è quella dei ricchi newyorkesi, si finge marxista con la coppa di champagne in mano. La sinistra occidentale che si è fatta establishment negli ultimi decenni si è comportata in modo simile. Non pretendiamo che gli uomini di sinistra siano tutti tormentati e vissuti alla Limonov, ma che almeno evitino di sembrare Paris Hilton.

Solo la profonda ignoranza di Serra della cultura liberale di destra, liberista e libertaria, può fargli scrivere che alla destra del popolo frega nulla. Alla destra liberale interessa soprattutto il popolo. Solo che lo considera somma di individui, persone, e non un indistinto aggregato dotato di vita propria. La destra liberale crede poco nello Stato, ancor meno nelle tasse, nulla nella burocrazia e molto negli individui e nella loro libertà. I grandi economisti liberali vengono dal popolo, come direbbero i marxisti, e, come nel caso di Friedman (figlio di emigranti squattrinati), sostengono che solo politiche liberali possono permettere ai più deboli, ai bifolchi dell'Ohio di elevarsi socialmente.

Serra riconosce il problema della sinistra da salotto, ma ritiene che sia comunque meglio di un fantoccio che ha costruito nella sua testa, e cioè quello di una destra alla Maria Antonietta. Confonde i liberali con l'establishment. Che oggi è, al contrario, in gran parte figlio della cultura socialdemocratica. Quell'establishment che, giusto poche pagine prima della disquisizione di Serra, si occupava proprio su Repubblica della gauche caviar torinese. Scandalizzato dalle polemiche di Salvini e Meloni sulla promozione che il Museo egizio fa di un biglietto gratis per le coppie arabe, il cronista di Repubblica (ma tutti si sentono opininioned quando hanno il vento del progressismo in poppa) scrive: «Regalare un biglietto su due ad un arabo è aberrante? Perché mai? Una scemenza grande come una piramide. Le audioguide del Museo egizio prevedono spiegazioni in sette lingue diverse, ogni anno vengono visitatori da ogni angolo del pianeta, ovviamente di differenti religioni e culture. A Londra i musei non si pagano e nessuno insorge. Però noi siamo piccini, l'arabo paghi semmai il doppio, il triplo...». Piccoli Bernstein crescono.

Purtroppo per loro non scrivono West side story, ma ugualmente non capiscono che le critiche al Museo non nascono da motivi razziali, religiosi, ma da quello che banalmente Wolfe sul giornale di questo cronista aveva detto solo qualche giorno prima: la sinistra chic si occupa più delle minoranze, in questo caso arabe, che della maggioranza, in questo caso del ceto medio torinese, che sarebbe ben contenta di ricevere anch'essa uno sconto del 50 per cento sul costo del biglietto di un museo che, peraltro, contribuisce con le sue tasse a tenere in piedi.

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