Cronache

Così la criminalità nigeriana ha invaso l’Italia

Il caso di Pamela Mastropietro ha riportato alla luce il problema della criminalità nigeriana presente ed operante in territorio italiano

Così la criminalità nigeriana ha invaso l’Italia

Il caso di Pamela Mastropietro ha riportato alla luce il problema della criminalità nigeriana presente ed operante in territorio italiano; Innocent Oseghal, Desmond Lucky e Lucky Awelima, i tre “profughi” coinvolti nell’omicidio, erano infatti attivi nello spaccio di stupefacenti a Macerata e gli inquirenti stanno ora indagando nel loro passato in Nigeria per capire che trascorsi abbiano, se non altro per l’agghiacciante operazione di smembramento del corpo della povera Pamela, anche se forse ciò andava fatto prima di farli entrare ed accoglierli in resort a quattro stelle.

Nell’attesa che emergano ulteriori elementi utili a capire meglio le dinamiche del gruppo coinvolto nel massacro è intanto utile fare un rapido quadro su cosa si intende per “criminalità organizzata nigeriana” visto che alcuni gruppi, ma non tutti quelli presenti sul territorio, sono necessariamente legati alle grandi organizzazioni che fanno base a Lagos e Benin City.

Un rapporto della DIA del 2016 faceva riferimento alla criminalità organizzata nigeriana come “la più pervasiva, formata da diverse cellule criminali indipendenti e con strutture operative differenziate ma interconnesse, dislocate in Italia e in altri Paesi europei ed extraeuropei”.

Trattasi di gruppi vasti, ramificati, organizzati su un modello clanico e con un controllo fondato sulle intimidazioni, sulla minaccia della magia nera e sui sequestri di persona. Delle vere e proprie confraternite in quanto per farne parte bisogna sottoporsi a dei rituali di tipo tribale.

Un esempio è quello che riguarda le minacce nei confronti delle prostitute che non solo vengono picchiate, ma che vengono sottoposte a riti voodoo con lo scopo di avere totale controllo su di loro e in molti casi con minacce aggiuntive ai propri familiari rimasti in Nigeria.

Tra le confraternite più note vi sono la Black Axe, i Black Cats e gli Eiye che in Nigeria si sono resi protagonisti di molti omicidi, intimidazioni e reati predatori. Questi gruppi sono presenti anche in Italia, spesso in concorrenza con altre fazioni rivali della stessa comunità nigeriana.

I principali traffici a cui si dedicano queste organizzazioni sono la prostituzione, l’immigrazione clandestina, la gestione della manodopera per la raccolta nei campi, il traffico di stupefacenti, le truffe telematiche e il racket dell’elemosina.

Ci sono poi delle “zone grigie” dove sono operanti gruppetti isolati non legati a confraternite, senza una stabile organizzazione, che si muovono in spazi ristretti e si dedicano allo spaccio al minuto degli stupefacenti, recuperando dove possibile la “merce” da vendere. Il caso dei tre profughi spacciatori potrebbe essere legato a quest’ultima casistica anche se si tratta soltanto di un’ipotesi, nell’attesa che ulteriori elementi possano aiutare a completarne il quadro.

C’è da dire che non si tratta della prima volta che nelle Marche viene tirata in ballo la criminalità organizzata nigeriana: nel novembre 2016 infatti emersero elementi che citarono la presenza di alcuni membri della confraternita Black Axe al funerale di Emmanuel Chidi Nnamdi, il nigeriano rimasto ucciso in una rissa con il fermano Amedeo Mancini.

Oggi la criminalità organizzata nigeriana (che si tratti di confraternite o meno) è presente in molte zone d’Italia. Basti pensare all’operazione “Black Axe” che nel novembre 2016 a Palermo portava all’arresto di diciassette nigeriani membri della confraternita che ha dato nome all’operazione.

L’organizzazione era riuscita ad acquisire in modo diretto o indiretto, avvalendosi del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento ed omertà che ne deriva, la gestione ed il controllo di redditizie attività economiche, (dalla tratta di esseri umani all’illecita riscossione di crediti, dallo sfruttamento e dal controllo della prostituzione al traffico di stupefacenti).

Ci sono poi numerose altre “piazze d’affari” come le zone di Genova, Torino, Milano, Padova, Roma, Caserta, Bologna.

La prostituzione nigeriana è oramai presente da decenni sul territorio nazionale e ben noto è il ruolo delle cosiddette “maman”, ex prostitute che hanno fatto “carriera” e si occupano della gestione delle nuove arrivate, sia per quanto riguarda la logistica che la raccolta del ricavato da destinare alle organizzazioni.

Al di là della prostituzione, ci sono alcune attività che saltano particolarmente all’occhio come ad esempio il cosiddetto racket dell’elemosina, recentemente documentato con reportage video a Milano da Tullio Trapasso del Comitato Antiracket e Abusivismo, racket che sfrutta quei ragazzi africani che si vedono agli angoli delle strade con il cappellino in mano mentre fanno la questua. Trapasso era anche riuscito a documentare dei resti di riti voodoo all’interno di un edificio abbandonato in zona Quartiere Adriano.

Un recente approfondimento del quotidiano Vanguard, con sede a Lagos, fa riferimento a 170mila nigeriani detenuti all’estero, gran parte dei quali per reati legati alla droga, alla prostituzione e al traffico di esseri umani. A questi numeri si aggiungono più di 10mila donne risucchiate nell’inferno della prostituzione in Europa e in molti casi vendute dalle loro stesse famiglie.

Secondo il Viminale lo scorso novembre più di 1500 nigeriani hanno fatto richiesta di asilo in Italia, 1900 a ottobre e altrettanti a settembre. Una vera e propria invasione da un Paese che non è in guerra e nei confronti della quale le istituzioni fanno fatica ad applicare i necessari filtri che dovrebbero selezionare chi entra e chi no. Lo si è vesto chiaramente con il caso di Macerata ma lo si era visto anche nel settembre 2014 a Jesi, sempre nelle Marche, quando il nigeriano Precious Omobogbe, pluripregiudicato e disoccupato, aveva infranto la vetrina di un’armeria, si era impossessato di due machete, un coltello ed aveva seminato il panico per il centro della città per oltre un’ora e mezzo prima di venire bloccato e posto in stato di arresto dai Carabinieri e non senza difficoltà.

Insomma, permettere gli ingressi senza le adeguate indagini preventive comporta un rischio enorme per la sicurezza dello Stato e dei propri cittadini e i fatti sono sotto gli occhi di tutti.

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