Cronache

La crisi idrica era annunciata. E ora danno la colpa a Trump

Emergenza siccità. Zingaretti "blocca" il prelievo d’acqua dal lago di Bracciano: razionamenti e turismo a rischio. E i politici incolpano Trump

La crisi idrica era annunciata. E ora danno la colpa a Trump

Roma senz’acqua per 8 ore al giorno. Arriva il conto del falso dilemma tra acqua pubblica o privata. Un bivio illusorio di fronte al quale l’Italia si è inchiodata nell’indecisione per sei anni, rallentando gli investimenti necessari a migliorare la nostra cadente rete idrica. Ecco il risultato: la distribuzione dell’acqua sconta una media di perdite intorno al 34 per cento, ma il Lazio ha il record con il 60 per cento. Roma, stando all’ultimo rapporto di Cittadinanzattiva, si attesta su un non lusinghiero 43 per cento. Non è tutta colpa di perdite delle tubature, in parte si tratta anche di dispersione contabile, acqua che esce dal rubinetto ma non finisce sulla bolletta. In ogni caso, un indice di inefficienza preoccupante.

E siccome, recita il rapporto Blue Book di Utilitalia, il 70 per cento delle condutture delle grandi città è vecchio di oltre trent’anni, è evidente che l’unica cura è la manutenzione e investimenti strutturali per rinnovare la rete. Chi li deve pagare? La legge pre referendum prevedeva che le aziende che ci forniscono l’acqua ricevessero un margine di remunerazione del 7 per cento sugli investimenti fatti. In molti casi ne derivava un bel guadagno. Il referendum ha il merito di aver cancellato la remunerazione fissa. I promotori del referendum però andavano oltre, pretendendo che la gestione dell’acqua fosse pubblica e quindi non ci si potesse guadagnare. Ed ecco il bivio illusorio, l’acqua è pubblica, ma che la gestione sia pubblica o privata non è importante. L’importante è che sia gestita bene.

E invece intorno a questo dubbio amletico si è bloccato il sistema. Chiunque faccia un piano di investimenti con un orizzonte di molti anni ha bisogno di procurarsi denaro, il che ha un costo. E che venga fuori dalle casse pubbliche o dalla bolletta, alla fine pagare tocca sempre ai cittadini. Dopo anni di ricorsi, di recente il Consiglio di Stato ha dato torto alla linea referendaria, stabilendo che, anche se la remunerazione degli investimenti non è fissa, è comunque dovuta. O la paghiamo in bolletta, o la pagano gli enti locali. In attesa di decidere a chi toccava allargare il portafogli, gli investimenti sono addirittura rallentati. La dispersione a Roma nel 2007 era del 25 per cento, ora è del 43. Secondo il Blue Book sono in media pari a 32 euro per abitante, contro gli 80 che servirebbero a rimettere a posto la rete.

In queste condizioni forse era prevedibile che una siccità dura come quella di quest’estate avrebbe innescato la crisi. Ma nel dibattito politico il tema degli investimenti è passato in secondo piano, in favore del catastrofismo ambientalista. Legambiente ha subito lodato la scelta del governatore del Lazio di bloccare il prelievo d’acqua dal lago di Bracciano, al grido di «l’acqua non è infinita». Zingaretti incassa e rilancia in stile tragico- nonsense: «L’acqua sta finendo. Mi piacerebbe invitare qui Donald Trump per fargli capire cosa significa non rispettare gli accordi sul clima ». E sì, tutta colpa di Trump. Comodo per il Pd, che ha gestito Acea, l’azienda romana dell’acqua fino a un anno fa. Il cui presidente ricorda che negli anni passati i sindaci hanno preferito investire sulle fognature per evitare una multa dell’Ue. E del resto non può scagliare la prima pietra l’amministrazione grillina della città, che di recente ha scaricato politicamente il movimento dell’acqua pubblica, dopo averlo cavalcato negli anni del referendum.

Il miracolo della politica: lavarsene le mani anche quando l’acqua è finita.

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