Cronache

Dacca, parla il marito di una delle vittime: "Troppe cose ancora da chiarire"

Simone Codara in un'intervista a Libero ha chiesto verità per sua moglie. "Ho il sospetto che a Dacca non sia andata come mi hanno raccontato"

Dacca, parla il marito di una delle vittime: "Troppe cose ancora da chiarire"

Maria Riboli è una degli italiani che hanno perso la vita nell'attentato terroristico di Dacca del mese scorso. Suo marito, Simone Codara, 43 anni, oggi la ricorderà andando davanti al consolato del Bangladesh. "Farò lì la mia veglia funebre, anche a costo di essere solo", ha detto in un intervista a Libero. "Accenderò un cero per sentirmi più vicino a lei e per sperare che qualcuno mi spieghi cosa è accaduto realmente". Vuole la verità Simone. Quello che gli hanno raccontato non lo convince, le motivazioni di quell'attacco non lo convincono.

"L'attenzione mediatica su questa strage sta scemando", spiega. "Eppure la dinamica dell'attacco non è chiara, così come le motivazioni. C'è l'aspetto religioso, ma perché l'hanno realizzato nel posto più difficile, nel quartiere diplomatico", si chiede gettando dubbi sull'intervento della Polizia arrivato "in ritardo". Ma altri elementi della vicenda non lo convicono: a partire dall'atteggiamento della Farnesina che all'inizio minimizzava e che ha confermato la morte della donna solo il giorno dopo, fino alla procedura di riconoscimento del corpo, che non gli è stato mostrato per intero.

Quella sera maledetta Simone era a casa con sua figlia Linda, di tre anni. Lo chiama prima il capo della moglie, poi la Farnesina. "Entrambi minimizzano, come se fossero d'accordo sulla versione da raccontare. Dicono che mia moglie è prigioniera, ma che si risolverà". E invece non andrà così. Simone capisce che per la moglie non c'è nulla da fare leggendo le notizie su internet e guardando la tv. La notizia ufficiale la riceve solo il giorno dopo.

"Quando mi hanno chiesto di fare il riconoscimento ho detto di non volerlo fare. Mi hanno risposto 'Meglio così'. Allora mi sono insospettito e ho cambiato idea". Gli hanno mostrato il volto della moglie, non il resto del corpo. Ora Simone è pieno di dubbi e pensa che le cose non siano andate come gli hanno raccontato: "Temo sia stata torturata".

Al Capo dello Stato ha chiesto la verità. Gli hanno detto che le indagini dureranno sei mesi. Troppo. Nel frattempo convive con l'odio e con il dolore. "Provo odio nei confronti dei mandanti, di chi ha fornito le armi a quei quattro sfigati. Non possono certo aver fatto tutto da soli". Il conforto adesso lo cerca nella chiesa, quella chiesa che ieri ha aperto le porte ai musulmani. Lui li ha come vicini di casa ma, dice, "Adesso non è facile tornare a casa e incrociarli, mi fa un certo effetto".

L'orrore che sua moglie ha subìto a Dacca lui ha rischiato di viverlo a Nizza, dove era stato invitato da una zia qualche giorno prima della strage del 14 luglio. "Lei era sul lungomare ma aveva freddo ed è andata via prima. Si è salvata. Se ci fossi stato io, chissà".

Voleva un secondo figlio Simone, ma la moglie gli aveva risposto che era meglio di no. Lui disoccupato, lei impiegata giramondo. "Amava girare, era spesso in Bangladesh per lavoro, le piaceva molto. Appena sposati mi aveva chiesto di trasferirci a Dacca, ma io non ho voluto. Lei era per una società multirazziale, dava fiducia a tutti". Quel paese che amava l'ha tradita. Ora ogni sera Simone prega con la piccola Linda per la mamma. "Guardo la sua foto, sembra voglia uscire per tornare da noi.

Questo mi dà la spinta per andare avanti, perché lei aveva una forza incredibile".

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