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E l'inciucio già traballa

E l'inciucio già traballa

In una giornata di un metà agosto a Camere aperte come mai era accaduto prima, il fronte del «subito al voto» porta a casa un primo punto. E il cartello dei cosiddetti «responsabili» pronti a un governo di transizione pur di evitare le urne perde terreno. Gli affondi di Luigi Di Maio prima e la presa di distanza di Nicola Zingaretti poi hanno infatti certificato quello che potrebbe essere un problema politico insuperabile: nessuno si fida di Matteo Renzi, principale sponsor di un asse M5s-Pd per un esecutivo ponte. Non si fiderebbe troppo neanche Sergio Mattarella che, raccontano ai piani alti del Quirinale, è sì disponibile a ragionare su «soluzioni alternative al voto» per «mettere in sicurezza i conti» purché «la prospettiva sia di lungo periodo». Insomma, niente governicchi balneari, destinati a durare qualche mese e appesi a un pugno di voti. E, dicono nel Pd, agli umori di Renzi che avrebbe di fatto la golden share di un simile esecutivo. Mettendo insieme M5s, Pd, Leu e Gruppo misto, infatti, i numeri in Parlamento sarebbero sì a favore dei Cinque stelle ma con una forbice decisamente ridotta rispetto agli attuali equilibri M5s-Lega. «E chi ci dice che Renzi fra quattro o cinque mesi, quando sarà pronto il suo partito, non farà cadere il governo?», si chiedono alcuni big dem. Obiezione a cui lo stesso Renzi avrebbe proposto una soluzione: «Sono pronto a fare il presidente del Consiglio, sarò io il garante». Scenario ai limiti del surreale, perché indigeribile non solo per il segretario dem Zingaretti (che perderebbe totalmente il controllo di un partito destinato alla scissione) ma pure per il M5s. Per non parlare del Colle, che tutto vuole fuorché un altro governo «ad alto tasso di conflittualità».

In questo scenario, nella capigruppo di ieri pomeriggio a Palazzo Madama la Lega ha deciso di tirare dritto. E con il sostegno di Forza Italia e Fdi ha imposto per oggi il voto in Aula sul calendario dei lavori: sfiducia a Giuseppe Conte domani pomeriggio (come chiede il centrodestra) o comunicazioni del premier martedì 20 agosto (come vorrebbero M5s, Pd e Gruppo misto). Una scelta azzardata, con Matteo Salvini che si assume il rischio di andare in minoranza. Ma non va sottovalutata la fotografia di M5s, Pd e Leu che votano insieme per dare vita questo da stasera sarà il refrain del centrodestra a un inciucio che allontani le urne. Non è un caso che la macchina della comunicazione della Lega sia pronta a sparare bordate in questo senso, puntando in particolare contro Renzi, l'anello debole della cordata dei cosiddetti «responsabili».

Salvini è cosciente che il pronunciamento di oggi potrebbe anche diventare un segnale verso il Colle, mettere nero su bianco con il primo voto in Parlamento dopo che si è aperta la crisi l'ipotesi che si crei una maggioranza alternativa M5s-Pd-Leu. Ma, evidentemente, Giancarlo Giorgetti l'unico che nella Lega «parla» con il Quirinale deve avergli spiegato che anche Mattarella non immagina governi che non siano di prospettiva. Di qui la scelta di insistere sul blitz. Sperare in una vittoria, magari puntando sulle assenze agostane di chi, a differenza della Lega, non era da giorni pronto alla crisi. Qualcuno maligna anche di un accordo con Zingaretti, che potrebbe chiedere ad alcuni senatori di restare al mare. Così che una vittoria a sorpresa dell'asse Lega-Forza Italia-Fdi chiuda definitivamente ogni ipotesi di governo ponte. E comunque, anche andasse in minoranza, Salvini porterebbe a casa la fotografia plastica del fronte dell'inciucio.

Di certo, quello di oggi sarà un voto che ridisegnerà gli equilibri della politica italiana come l'abbiamo conosciuta negli ultimi 14 mesi.

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