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I draghiani riluttanti

Ormai a Matteo Salvini hanno affibbiato la nomea di Giamburrasca del governo, di rompiscatole impenitente. E magari il personaggio ha anche aiutato i suoi detrattori, visto che per carattere è portato ad intestarsi battaglie già perse

I draghiani riluttanti

Ormai a Matteo Salvini hanno affibbiato la nomea di Giamburrasca del governo, di rompiscatole impenitente. E magari il personaggio ha anche aiutato i suoi detrattori, visto che per carattere è portato ad intestarsi battaglie già perse. Vedi quella contro il green pass. Solo che dopo aver trattato, minacciato, detto dei «no», alla fine Salvini, sia pure senza entusiasmo, ha sempre detto «sì». Al punto da rimetterci qualche punto nei sondaggi e, addirittura, un paio di parlamentari in Italia come in Europa. Parliamo di quel gruppetto di eletti che hanno sostituito il cervello con l'etichetta «no vax» o «no green pass» (il che equivale a dire la stessa cosa): ebbene, diciamoci la verità, per la perdita di costoro il leader della Lega non solo non dovrebbe recriminare, ma addirittura dovrebbe brindare.

Quindi, Salvini a differenza di altri ha pagato la sua presenza nel governo. Un governo, non va dimenticato, che il leader della Lega, sempre a differenza di altri, ha voluto. Per onestà intellettuale va riconosciuto, infatti, che se Salvini si fosse opposto, l'esecutivo Draghi, descritto da mezza stampa come il governo delle meraviglie, non sarebbe mai nato. Eh sì, perché questo esecutivo dai mille padri, all'epoca, nel momento delle scelte, ne ha avuti davvero pochi. Ancora riecheggiano le dichiarazioni di mezzo Pd che durante l'ultima crisi di governo si era schierato con i grillini sulla linea «Conte o morte». Poi, di fronte al rischio delle urne, nel giro di 24 ore, ha mutato idea.

Solo che quella matrice, mal celata dalle parole, è rimasta nei comportamenti degli esponenti del partito di Letta e dei 5 Stelle. Molte riforme che sono parte integrante del Pnrr, sono rimaste al palo. A cominciare dal capitolo che riguarda il «lavoro» che tira in ballo il ministro Andrea Orlando. La differenza è che quest'anima riottosa del governo, e della maggioranza, all'opposto di Salvini non parla, ma nel contempo, con grande cruccio di Draghi, neppure fa. È composta, per usare le categorie con cui sono stati battezzati a Palazzo Chigi, da «draghiani riluttanti» o, per dirla in altro modo, da «contiani nostalgici». Ma non è solo un problema di «sentiment», c'è qualcosa di più profondo: un personaggio come Draghi può ritrovarsi con Orlando, magari pure con Speranza, sul green pass, ma sui temi economici, appunto tipo il welfare, il lavoro, il decreto contro le delocalizzazioni, ha un'impostazione lontana da quella della sinistra. Ha un altro Dna. Solo che questa diversità di vedute Orlando e compagni, che appartengono ad un'altra scuola politica rispetto a quella dei Salvini, non la esprimono con dei «no» in pubblico, ma temporeggiando, utilizzando dei «ni», dei «sì» con riserva, avanzando proposte bislacche che poi nel silenzio tornano indietro. Alla fine, però, il risultato è lo stesso.

Anzi, è anche peggiore, perché se tra polemiche e ultimatum il green pass è passato, il dossier «lavoro» è ancora là, nel cassetto del ministro Orlando.

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