Cronache

I primi 60 anni di Barbara D'Urso criticata ma amata: è lei la nuova Dc

Da Telemilano alle soap fino ai talk show la conduttrice in onda dagli anni Settanta

I primi 60 anni di Barbara D'Urso criticata ma amata: è lei la nuova Dc

Manco lo diresti che compie sessant'anni Barbara D'Urso, proprio lei, la nostra signora dell'infotainment che almeno da un decennio è il parafulmine preferito dagli indignati speciali. C'è la tv di tutti i giorni e la tv della «Zia d'Italia», quella che puoi anche non vedere perché tanto sai già come ne scriveranno: male, talvolta malissimo, rarissimamente bene ma soltanto con le dovute precisazioni, sia mai che qualcuno raddoppi l'indignazione. Pensate, ne parla o ne scrive male anche chi rinuncerebbe al ponte del Primo Maggio pur di un'ospitata da due minuti. In realtà Barbara nata Maria Carmela, Carmelita per gli amici social, napoletana per forza perché più verace non si può, la puoi trovare sulla enciclopedia alla voce Istat come produttore di statistiche popolari. Sul sottile discrimine tra sensazionalismo e feuilleton, illumina la cronaca rosa, rosata, violetta e nera con una luce più forte di quella che la avvolge in studio e lo fa a bordo di una corazzata di autori con il kriss, alcuni dei quali di lunghissima esperienza e indubbio olfatto professionale cui raramente sfugge la rotta. Qualche volta capita, come quando Filippo Facci con la «giacca fantozziana» ha messo le mani addosso allo psico-manager di Cicciolina che sembrava un Calboni con eloquio alla «facci lei».

Ma il più delle volte a Pomeriggio Cinque e Domenica Live su Canale 5 (che conduce, rispettivamente, da nove e cinque stagioni con ascolti inattaccabili) fila tutto liscio anche quando le acque sono paludose e il filo del discorso si aggroviglia nei meandri del gossip familiare più spietato (vedasi alla voce Francesca De André).

A gestire tutto c'è sempre lei, che sgobba come un mulo e nello studio di Cologno sguaina un potere così persuasivo che farebbe ammettere a Ciccio Kim di essere un ultras di Trump o a Totti che la sua squadra del cuore è la Lazio. Merito di una gavetta che, al netto di quelli che le malelingue definiscono «aiutini», è quella rara di una self made woman partita da annunciatrice di Telemilano 58 e arrivata nelle classifiche di vendita dei libri Mondadori passando per qualsiasi officina televisiva, cinematografica o teatrale. C'è stato almeno un briciolo di D'Urso in tutti gli snodi di spettacolo degli ultimi decenni. Nel '78 su Rete 2 (si chiamava così il secondo canale Rai) fu censurata per un topless. L'anno dopo era nella Domenica In che copriva tutto l'arco costituzionale televisivo, dal nazionalpop di Pippo Baudo ad Antonio Ricci, Beppe Grillo fino al Memo Remigi allora suo compagno. Negli anni Ottanta passa per il cinema non proprio d'autore (Erba Selvatica non concorse certo ai David di Donatello...) e recita in Giorno dopo giorno di Rete4 che è considerata la prima telenovela italiana. Nei Novanta si toglie lo sfizio di recitare per Scola (Romanzo di un giovane povero) e di essere la star di una delle serie televisive più seguite del decennio, La dottoressa Giò, giusto prima di tornare a teatro con Montesano e Garinei in E mano male che c'è Maria. Tutto propellente per il suo Duemila. C'è lei, naturalmente, a fidelizzare il Grande Fratello post Daria Bignardi: due edizioni una dopo l'altra, una prima volta che passa alla storia (nel 2004 batte una serata del Festival di Sanremo) e un primo contatto con la mitragliera dei critici grazie all'esagerato Un due tre stalla, un altro reality show dove la cosa più elegante era proprio il titolo. Ma sul mare forza nove la D'Urso ha imparato a navigare che neppure l'Amerigo Vespucci, e forse questo manda in bestia tanti che ricambiano ancorandosi in pianta stabile alle stroncature.

In fondo, la sua tv è meno barbara di altre e lo stile D'Urso è più friendly di programmi trabocchetto che si travestono da inchiestometri o da giustizieri, ma in fondo cercano la stessa pista d'atterraggio: la pancia del telespettatore. Il suo telespettatore non è necessariamente diverso da quello che non si perde una puntata dell'ultimo talk show fighetto su La7 o dell'approfondimento su Rai5. E lo confermano i politici da anni in fila permanente ed effettiva per un'ospitata, ben sapendo che vale di più un passaggio nel suo studio che due ore di estenuanti battibecchi sui massimi sistemi sempre più minimi. Perciò, dati alla mano, lei è come la Democrazia cristiana negli anni Sessanta o Settanta, quella che nessuno, per carità, ammetteva di votare ma poi prendeva il 30 per cento alle urne.

Perciò, festeggiando i sessant'anni, si ritrova a gestire non una tv modello ma una tv che modella, fa opinione e diventa termine di paragone per somigliarle o, più spesso, per distinguersene. Ma è comunque centrale e «divisiva» come si dice nei salotti che contano, quelli che hanno esultato quando un Ordine dei giornalisti altrimenti muto presentò un esposto contro le «soubrette del giornalismo» (in realtà soltanto lei). Ed è per questo che, nonostante frequenti derapate nel trash, il «pomeriggiocinquismo» è un format ultrapersonale che riempie a modo proprio, spesso battagliero, qualche volta retorico, lo spazio mediano tra informazione «alta» (ma de che) e intrattenimento generalista. Non è l'unico, sia chiaro. Ma, attenzione, sottovalutare il pubblico è l'errore tipico di chi non lo capisce...

Paolo Giordano

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