Politica

I tagli a Palazzo aprono il far west

I tagli a Palazzo aprono il far west

Il pathos per la legge costituzionale madre di tutte le battaglie 5 stelle, la riduzione dei parlamentari, latita. Nell'aula di Montecitorio gli interventi sono pochi, l'atmosfera è da veglia funebre. Le congetture, invece, pullulano. Ce ne sono per tutti i gusti. E tra le tante c'è anche quella che vede sia Matteo Salvini, sia Matteo (...)

(...) Renzi interessati per motivi opposti al referendum confermativo sul provvedimento. Matteo S., ad esempio, vorrebbe che l'intero centrodestra restasse fuori dall'aula: sta corteggiando Giorgia Meloni che è titubante, mentre Silvio Berlusconi per aderire all'impresa pretende un appello pubblico del leader leghista. L'obiettivo di Salvini è quello di sfruttare qualche defaillance della maggioranza (che deve avere almeno 316 voti) per far saltare il governo. O, in alternativa in caso di approvazione, c'è l'ipotesi, ancora a livello di studio, che il centrodestra unito chieda il referendum confermativo sulla legge e lo trasformi in un plebiscito contro il governo Conte bis. Operazione complessa, visto che decimare deputati e senatori è attualmente uno degli sport preferiti dall'opinione pubblica. Salvini, comunque, per incoraggiare gli alleati alla battaglia ha insinuato pure che Italia Viva potrebbe far mancare qualche voto all'appello nel voto di oggi.

Idea che, a stare appresso a Matteo R., non sta né in cielo, né in terra. «Questa è una menata taglia corto Renzi è chiaro che noi votiamo a favore». Semmai in questo campo la riflessione è un'altra. «Il referendum confermativo, infatti, ipotizza il leader di Italia Viva Renzi lo vorrei organizzare io per evitare che a febbraio, con il sottoscritto che potrebbe crescere nei sondaggi, a Zingaretti torni la voglia di andare a votare». Anche perché dentro la maggioranza regna la diffidenza. «Questi sono idioti si lamenta Matteo R. - a pensare che io voglia far cadere questo governo. Ma l'errore principale lo fa Conte, che gioca di sponda con il Pd. Non ha capito che il suo vero aiuto sono io». E in fondo, anche sull'ennesima puntata del Russiagate, cioè la richiesta di informazioni rivolta dal ministro della Giustizia Usa, William Barr, ai nostri servizi segreti con l'ok del premier Conte (episodio raro anche negli anni della Guerra fredda), Renzi si sente più «aggredito» che «aggressore». «È Conte confida che ha fatto un'intervista contro di me! Il contenuto di questa storia è di per sé assurdo: un complotto mio e di Obama contro Trump... ma dai! Io ho grande stima di me, ma come si può dar retta a cose del genere?!».

Questa è l'aria che si respira nel Parlamento che si prepara ad autoridursi di numero. E la «dieta» si porta dietro un paradosso: da una parte la riduzione degli scranni ridurrà di molto la voglia di andare alle elezioni anticipate, visto che, va da sé, nelle prossime Camere «ridotte» non ci sarà posto per tutti gli attuali abitanti del Parlamento; dall'altra, questa condizione di stabilità «indotta» aumenterà tra i partiti di maggioranza la tentazione di distinguersi, di polemizzare, di visibilità. In sintesi: ci si scontra, ma non si rompe; si litiga, ma senza addii. È un portato quasi fisiologico delle coalizioni (basta guardare alle cronache del governo gialloverde per averne l'ultima prova), che sarebbe considerato sicuramente meno drammatico se si prendesse atto di un dato: il tramonto dei partiti a vocazione maggioritaria. Nell'attuale scenario politico il sogno dei «partiti unici» è passato di moda, sia per i numeri (al Pd sotto il 20% è la matematica che dovrebbe far perdere la «vocazione»), sia per i processi di disarticolazione e di riaggregazione in atto. Questo vale sia sul versante del centrosinistra, sia su quello di centrodestra: se Zingaretti se ne convincesse, e invece di proporsi come partito egemone, si dedicasse a costruire una sinistra moderna, il rapporto con il «centro» di Renzi diventerebbe automaticamente meno conflittuale; stesso discorso vale nel campo opposto dove, dopo che Salvini ha messo da parte (almeno sembra) il sogno del partito unico e omnicomprensivo del centrodestra italiano, è tornata apparentemente la pace. «Il punto spiega Federico Fornaro, capogruppo di Liberi e Uguali alla Camera è proprio questo. Il Pd dovrebbe capire che la sua vocazione maggioritaria è passata di moda e attrezzarsi alla nuova fase. Deve superare il riflesso condizionato per cui una volta il Pci non voleva nessuno alla sua sinistra e ora il Pd non vuole nessuno, in una coalizione di centrosinistra, alla sua destra». «Dovrebbe parlare in portoghese consiglia Enrico Borghi, piddino fresco di nomina al Copasir occuparsi della sinistra che può anche vincere e lasciare i moderati a Renzi». Discorsi speculari fa sul versante del centrodestra uno dei consiglieri del Cav, Sestino Giacomoni. «Il vertice del centrodestra interpreta significa che i leghisti dopo la voglia di Partito Unico e di sovranismo, sono tornati a Canossa. Per il futuro? Un jolly per Forza Italia o, meglio, addirittura per il centrodestra: dopo la musata l'immagine di vincente di Salvini si è appannata».

La verità è che il leader della Lega è diventato più accondiscendente con gli alleati, perché è consapevole che l'approvazione di una legge elettorale proporzionale, rischierebbe di emarginarlo. Motivo per cui tenta di mettere insieme un fronte comune per scongiurare una simile prospettiva. Solo che l'impresa appare complessa, visto che molti considerano l'approdo ad una legge proporzionale con soglia di sbarramento inevitabile. «Credo che arriveremo lì prevede Graziano Delrio, presidente dei deputati del Pd -: il partito di Bersani lo ha posto come condizione per entrare in maggioranza. Anche se ha proposto una soglia del 3%. Detto questo la soglia semplificherebbe il panorama politico sicuramente più dell'attuale legge maggioritaria». E anche tra i grillini un simile epilogo appare scontato. «Con la riduzione dei parlamentari ragiona il sottosegretario agli Esteri, Manlio Di Stefano dobbiamo garantire una maggiore rappresentatività». «Alla fine arriveremo al proporzionale con sbarramento predice Luca Carabetta, che sfoggia una cravatta Hermes molto istituzionale e poco grillina : è scritto. L'ipotesi del partito a vocazione maggioritaria è già fallita. Noi siamo nati proprio perché siamo riusciti a rappresentare quei mondi che non si sentivano rappresentati dai partiti onnicomprensivi a destra come a sinistra».

Già, tutto è in movimento. Berlusconi è tornato ad essere ottimista: «Ora che con due-tre mosse ci siamo ricollocati nel centrodestra agli occhi della gente, arriveremo al 10%: anche perché appariamo più equilibrati dei nostri compagni di strada».

E tutto cambia: «Qui è il caos», osserva l'ex sottosegretario grillino, Andrea Cioffi, mentre imbocca una strada del centro di Roma in controsenso in motorino.

Commenti