Cronache

Inciti alla guerra santa? Per la Cassazione non è reato

Depositate le motivazioni della Suprema Corte che hanno portato all'assoluzione di quattro jihadisti appartenenti alla moschea di Andria in Puglia

Inciti alla guerra santa? Per la Cassazione non è reato

Se inciti alla guerra santa in nome di Allah non commetti reato. Questo ha stabilito la Corte di Cassazione nelle motivazioni depositate oggi a proposito della sentenza che lo scorso 14 luglio assolse quattro jihadisti della moschea di Andria (tre tunisini e uno di origini magrebine anche se nato a Castelvetrano in provincia di Trapani).

I quattro (originariamente erano cinque, ma uno di loro dopo la condanna non ha fatto ricorso) non sono processabili perché non costituivano una minaccia. Secondo la Suprema Corte il reato non può essere circoscritto alla semplice propaganda ai fini del martirio; devono esserci, allo stesso tempo, attività riconducibili all'addestramento di uomini pronti ad essere inviati nei luoghi in cui effettuare operazioni di combattimento.

La sentenza 48001 passa quindi alla storia del Paese. L'indottrinamento da solo non basta anche se, tiene a specificare la Cassazione, configura una premessa ideologica rilevante per la creazione di un gruppo che può compiere atti terroristici. Tuttavia, però, i giudici del Palazzaccio insistono col dire che il proselitismo da solo non basta e parlare di guerra santa non significa andare a combatterla e, di conseguenza, commettere un reato.

I protagonisti della vicenda si sono visti annullare la condanna. In primo grado, l'imam di Andria, al tunisino Hosni Hachemi Ben Hassen, erano stati comminati cinque anni e due mesi di reclusione (agli altri componenti del gruppo tre anni e quattro mesi. Solo per un imputato minore la Corte di Assise d'Appello di Bari ridusse nel 2015 a pena a due anni e otto mesi). Dopo l'assoluzione di luglio, l'imam è stato rimpatriato. Un altro imputato che inneggiò agli attentati compiuti in Francia da cellule jihadiste è stato espulso dal territorio nazionale.

Nelle attività di indottrinamento, la Cassazione ha fatto rientrare anche la visione di filmati cui facevano riferimento, nelle intercettazioni telefoniche, gli imputati. e, a proposito, i giudici hanno ritenuto che gli imputati non avessero nemmeno ben compreso il tenore cruento delle espressioni di un non meglio identificato Alì, pur essendo tutti d'accordo sull'esaltazione del martirio in combattimento.

A non costituire elemento di pericolosità, infine, per i giudici di terzo grado, il fatto che nessuno sia diventato un "foreign fighter" e abbia raggiunto le zone di guerra in Siria o in Iraq tra la fase delle intercettazioni (2009) e l'arresto (2013).

Insomma il gruppo, per la Cassazione, non avrebbe mai fatto il salto di qualità diventato una vera e propria cellula pronta ad entrare in azione in nome di Allah.

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