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Iniezioni di realismo

Ha colpito la doppia staffilata che il premier Meloni ha sferrato all'indirizzo di quanti in queste settimane avevano seminato fandonie su fantomatici tagli alla sanità oltre a invocare l'introduzione di un salario minimo

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Più che lo schiaffo metaforico subito dai ministri, costretti ad accantonare i progetti non indispensabili subito onde meglio incanalare le risorse della manovra, ieri ha colpito la doppia staffilata che il premier Meloni ha sferrato all'indirizzo di quanti, politici e sindacalisti, in queste settimane avevano seminato fandonie su fantomatici tagli alla sanità oltre a invocare l'introduzione di un salario minimo che più che risolvere qualche problema ne creerebbe di nuovi e più gravi. Già il Giornale si era battuto con inchieste per dimostrare che i tagli al settore sanitario erano un'invenzione della stampa di sinistra, ma apprendere dalle parole del premier che nel 2024 verranno destinati al settore 136 miliardi, quasi 10 in più rispetto agli anni del Covid, dà la misura di quale distanza separi la propaganda dell'opposizione dal realismo del governo. Destinare 3 miliardi all'abbattimento delle liste d'attesa, un cancro nel nostro sistema che rende responsabile di disparità non più tollerabili, è un segno di attenzione che merita assai più di un plauso. Altro che tagli.

Per non dire di quella che il premier ha definito «l'altra priorità», vale a dire il rinnovo del contratto delle forze di sicurezza, per cui ancora oggi un poliziotto guadagna per lo straordinario poco più di 6 euro l'ora. Una vergogna alla quale nessun governo precedente, nemmeno quello tecnico guidato da Mario Draghi, ha pensato di porre fine. Del resto, la pochezza delle osservazioni venute da esponenti dell'opposizione prova che, data la situazione, difficilmente si sarebbe potuto fare meglio con i 28 miliardi messi sul piatto.

Naturalmente non tutti saranno contenti. È qui che una legge di Bilancio diventa un atto politico. Giorgia Meloni si è preoccupata soprattutto di sostenere quel ceto sociale che una volta veniva definita «piccola borghesia» e che adesso cerca di sopravvivere nel mare degli invisibili. È una classe fragile, disorientata e disillusa, che raccoglie i dipendenti con un salario basso, scaraventati ancora più giù dall'inflazione, con debiti che non sono in grado di saldare, ma in questo purgatorio ci sono anche i commercianti e gli artigiani marginali e periferici, quelli che il mercato globale considera anomalie, scorie del passato che non hanno più diritto di cittadinanza in un'economia che mal sopporta tutto ciò che è piccolo e non riconoscibile. Non se ne è parlato molto, ma la scelta di estendere l'Iscro sembra quasi un manifesto del pensiero meloniano. L'Iscro è una misura di sostegno ai lavoratori autonomi in difficoltà, una sorta di cassa integrazione per le partite Iva e riconosce un'indennità di circa 900 euro al mese per sei mesi. Qui c'è in fondo il senso della destra sociale. Non è però lo stesso welfare immaginato da ciò che resta della sinistra sociale. Il welfare di Landini, solo per fare un esempio, protegge chi è sindacalizzato e viene gestito da Cgil, Cisl e Uil. Il welfare della Meloni si rivolge a chi non ha garanzie e che lo Stato sociale tende a non vedere o a non riconoscere come soggetti deboli. La differenza è tutta qui.

Ciò detto, ci vorranno alcuni giorni per analizzare a fondo le diverse destinazioni della manovra, il cui obiettivo primo non è la crescita ma che è senza dubbio destinata a renderla più facile quando le emergenze cesseranno d'intensità. Il ministro Giorgetti, illustrando i vari provvedimenti fiscali, ha parlato di approccio prudente e realistico; tra qualche settimana Bruxelles dirà la sua; prim'ancora si pronunceranno le agenzie di rating.

Ma una prima risposta c'è già: ieri lo spread, che aveva iniziato la giornata a 203, a sera ha chiuso a 197.

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