Economia

Per inseguire il meglio scelgono il peggio

Per Alitalia sarà un lento stillicidio, come avviene nelle liquidazioni. Un pezzo pregiato venduto, un altro magari nazionalizzato

Per inseguire il meglio scelgono il peggio

Partiamo alla rovescia. Da quella minoranza, per ora sconfitta, di dipendenti Alitalia che ha votato per accettare l'accordo di lacrime e sacrifici, l'ennesimo, stipulato tra azienda e sindacati: non lo hanno certo fatto a cuor leggero. Alitalia è passata per una serie di piani di ristrutturazione, che passo passo hanno tagliato molta della ciccia che si era accumulata intorno all'osso di quella che un tempo era la nostra compagnia di bandiera. Insomma chi ha votato «Sì» al referendum Alitalia lo ha fatto certamente con rabbia: a nessuno fa piacere vedere il proprio stipendio decurtato e il posto di lavoro minacciato dalla cassa integrazione. Ma lo ha fatto. Così come gli italiani credettero al referendum, su ben altra scala, che aboliva il punto unico di contingenza. Insomma una minoranza che apprezza Italo Calvino e sa «che a volte nella vita non riusciamo a raggiungere il meglio, ma almeno possiamo evitare il peggio».

Ma si tratterebbe appunto di una minoranza. Che avrebbe sonoramente perso. Piloti, assistenti e altri dipendenti Alitalia hanno in massa votato contro il piano proposto dal nuovo management. Hanno cioè chiuso la porta in faccia a due miliardi di euro che mercoledì sarebbero stati sbloccati.

Ora sperano, loro con i loro sindacati di base, che qualcos'altro si possa muovere. Sbagliano. Alitalia da ieri è davvero finita. L'Italia ha perso un quinto della sua capacità produttiva dagli anni della crisi in poi, i consumi sono stagnanti, i redditi pure. La disoccupazione è elevatissima. I dipendenti dell'Alitalia oggi godono nell'opinione pubblica la stessa considerazione (giusto o sbagliato che sia) dei politici e dei privilegiati. Non è detto che lo siano. Ma tant'è. Hanno giocato con il fuoco e si sono scottati.

Alcuni di loro lo hanno fatto consapevolmente. Sanno che il traffico aereo è cresciuto enormemente negli ultimi anni, persino in Italia. E alcune professionalità (i piloti) hanno un mercato.

Altri si sono fatti trascinare da una logica sindacale che è sepolta, morta, finita: per la quale i dipendenti decidono le politiche dell'azienda in cui sono impiegati. Visto come sono stati recentemente diretti, li si può comprendere, ma non appoggiare. Alitalia ha già goduto di attenzioni che altre industrie si sognano (basti pensare alla cassa integrazione allungata) e che oggi nessuno è disposto a concedere loro.

Da domani non ci sono dodicimila disoccupati in più. Sarà un lento stillicidio, come sempre avviene nelle liquidazioni. Un pezzo pregiato venduto, un altro magari nazionalizzato. Mesi di incertezza. Ma chi si prende una tale baracca, che peraltro tra poche settimane non sa come pagare il cherosene? Lo Stato? Dubitiamo.

Per i consumatori non cambia molto. Se una tratta è ricca, lo spazio lasciato vuoto da qualcuno verrà occupato. I calabresi hanno recentemente fatto le barricate per la cancellazione della tratta nella loro augusta città. Vien da ridere, con il senno di oggi. Sarà il destino di una penisola, stupenda, ma piuttosto scomoda. Le compagnie aeree internazionali e a basso prezzo sbarcheranno in modo massiccio. Ma solo dove avranno un ritorno economico. Derivante dalla domanda dei consumatori o dagli aiuti di Stato, mascherati da operazione di «comarketing» fatte dagli aeroporti per attrarre compagnie a basso prezzo che girano per l'Europa senza dormire in alcun aeroporto. Magari dopo aver preso a prezzi di saldo macchine di Alitalia ed ex dipendenti della compagnia.

Contenti ad ogni buon conto di aver votato «No».

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