Cronache

Istat, il paradosso della laurea: "Più si studia, più il primo lavoro è precario"

Il presidente dell'Istat spiega il paradosso della laurea: più si studia, più il primo lavoro è precario. Con conseguenze sulla pensione e sulle decisioni riproduttive: quasi la metà delle lavoratrici atipiche è madre

Istat, il paradosso della laurea: "Più si studia, più il primo lavoro è precario"

Più si studia, più si va incontro ad una prima occupazione "atipica", cioè precaria: è il "paradosso della laurea" denunciato dall'Istat in audizione alla Camera dei deputati.

"L'occupazione atipica al primo lavoro è diffusa anche per titoli di studio secondari superiori o universitari e cresce all'aumentare del titolo di studio, essendo pari al 21,2% per chi ha concluso la scuola dell'obbligo e al 35,4% per chi ha conseguito un titolo di studio universitario - ha sottolineato il presidente dell'Istat Giorgio Alleva - Anche le differenze di genere aumentano nel tempo, registrando uno scarto di circa quattro punti percentuali tra i nati tra il 1960 e il 1974, di dodici tra i nati tra il 1975 e il 1979 e di sedici tra i più giovani".

Il lavoro atipico coinvolge soprattutto i giovani, ma non risparmia "anche gli adulti e i soggetti con responsabilità familiari: tra le donne, il 41,5% delle occupate con lavoro atipico è madre", ha spiegato Alleva in un'audizione alla Camera dei deputati in tema di equità generazionale e sistemi previdenziali.

"Il basso tasso di occupazione dei 25-34enni (60,3% nella media del 2016), costituisce una grande debolezza per il presente e il futuro di queste generazioni che rischiano di non avere una storia contributiva adeguata - è l'analisi fatta dall'istituto di statistica - Ciò si rifletterà su importi pensionistici proporzionalmente più bassi rispetto a carriere lavorative regolari, cioè con salari adeguati e continuità nel versamento dei contributi".

Lo scarso impiego dei giovani indica, poi, una grave situazione di sottoutilizzo di un segmento di popolazione ad elevato impatto potenziale sullo sviluppo economico del Paese. Inoltre, secondo Alleva, "anche le decisioni riproduttive risultano condizionate negativamente dalla precarietà occupazionale, come testimoniato dal progressivo innalzamento dell'età media al parto che tra il 2000 e il 2016 è passata da 30,4 a 31,7 anni".

Per il presidente dell'Istat, "sarebbe dunque opportuno favorire l'ingresso e la permanenza dei giovani nel mercato del lavoro, incrementando, ad esempio, le risorse disponibili per le politiche attive e la formazione dei lavoratori, favorendo la diffusione di servizi per l'assistenza e agevolando la piena partecipazione delle donne al mercato del lavoro. Il recupero di questo capitale umano qualificato ma inutilizzato costituirebbe uno stimolo alla dinamica della produttività del lavoro, che presenta oggi una debole evoluzione, insufficiente a sostenere una adeguata crescita futura del reddito pro-capite".

Alleva fa notare poi come "l'intervento pubblico, attraverso i flussi di imposte/contributi e dei trasferimenti, finisca per non tutelare le fasce più giovani della popolazione": secondo le stime Istat "il sistema di tasse e benefici, associato a bassi livelli di reddito familiare, determina per le fasce più giovani della popolazione un aumento del rischio di povertà: dopo i trasferimenti e il prelievo, il rischio di povertà aumenta dal 19,7 al 25,3% per i giovani nella fascia dai 15 ai 24 anni e dal 17,9 al 20,2% per quelli dai 25 ai 34 anni di età".

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