Cronache

L'ingegnere assunto negli Anni di piombo dall'azienda più odiata dai killer con la P38

Laureatosi nel 1976, Roberto Adinolfi ha subito cominciato a lavorare per Ansaldo nella costruzione di centrali. La violenza si ripete: negli anni Settanta quattro dirigenti del gruppo furono vittime di agguati

L'ingegnere assunto negli Anni di piombo dall'azienda più odiata dai killer con la P38

Una carriera spesa nell’Ansaldo, cominciata quando in Italia si mette­vano le bombe. Roberto Adinolfi, 59 anni sposato, padre di tre figli, in quei giorni era un giovane neolaureato. In università si faceva a botte, la droite e la gauche , volavano spranghe, molo­tov e coltelli. Si moriva anche. In no­me della lotta allo Stato i terroristi spa­ravano a politici, magistrati, giornali­sti, manager e sindacalisti. Senza troppe distinzioni. Gambizzavano In­dro Montanelli mentre camminava di buon’ora verso il Giornale in piaz­za Cavour a Milano; ammazzavano Vittorio Bachelet giuslavorista e pro­fessore universitario, davanti all’allo­ra sua assistente Rosy Bindi, nel­l’atrio della facoltà di Scienze politi­che de La Sapienza.

Erano gli Anni di piombo, quelli delle Br affiancate da una galassia di rivoluzionari armati e gruppi anarcoi­di da una parte; quelli dell’eversione di destra, i Nar, Terza posizione, Ordi­ne nero, delle stragi rimaste nel buio, dall’altra.

Adinolfi ottenne il «tocco» in Inge­gneria nucleare al Politecnico di Mila­no quando aveva 24 anni. Correva l’anno ’76 del secolo scorso. A quel­l’epoca era meno impossibile trovare lavoro. Lui iniziò praticamente subi­to, rapido e preciso come i suoi studi, entrando nell’Ansaldo (punta di dia­mante nella storia nostrana dell’indu­stria bellica) confluita nel 1950 nel gruppo Finmeccanica. Oggi Ansaldo è una «corporate» con circa 20mila addetti, dei quali 5mila all’estero. Non si producono più cannoni, navi e aerei da guerra ma energia, veicoli, sistemi di trasporto, segnalazione, automazione su drive. In altre paro­le, Ansaldo, attualmente, è il più po­tente gruppo italiano ad alta tecnolo­gia in ambito Finmeccanica.

Negli anni del brigatismo, il ramo genovese del colosso industriale fu l’obbiettivo preferito delle «cellule» locali. O meglio, lo furono i suoi uomi­ni. Era l’ottobre 1975 quando Vincen­zo Casabona - capo del personale di Ansaldo meccanica - venne seque­strato davanti al figlio per essere rila­sciato incolume poche ore dopo. Un avvertimento firmato con la «stella a cinque punte». Sergio Prandi, viceca­poreparto del Nucleare, il 10 luglio 1977, invece, venne gambizzato sot­to casa. Primo sangue e altra azione ri­vendicata da quelli delle P38. Otto col­pi ridussero in gravi condizioni Carlo Castellano, direttore pianificazione dell’Ansaldo. Era il 17 novembre 1977. Due anni più tardi sarà la volta dell’ingegner Giuseppe Bonzani, di­rettore di stabilimento. Lui, ridotto in fin di vita «nell’ambito - scriveranno gli ideologi rossi - della campagna contro il mondo industriale». Trenta­cinque anni dopo la storia si ripete. E la scelta di colpire Adi­nolfi, certo casuale non pare. Come se l’eversione del Terzo millennio avesse in­tenzione di riannoda­re un filo spezzato da fallimenti ideologici e programmatici.

Qual «migliore» ri­partenza? Adinolfi si è sempre occupato di energia nucleare, la­vorando alla progetta­zione di impianti ita­liani ( Montalto, Trino Vercellese per esempio) e stranieri come Superphenix Romania realizza­to da Ansaldo. E da Bucarest ha rice­vuto anche una laurea honoris causa. Ha guidato da direttore tecnico, il consorzio Ansaldo-Fiat creato per la progettazione di nuovi reattori. Nel 2000, dopo una parentesi di 4 anni co­me responsabile delle attività sul­l’energia convenzionale per l'Italia, è tornato agli«atomi»in qualità di diret­tore responsabile della divisione nu­cleare di Ansaldo Energia, per passa­re nel novembre 2005 ai vertice della neonata Ansaldo Nucleare. Dal apri­le 2007 è amministratore delegato della società e membro della Com­missione Unicen per la normativa nu­cleare oltreché presidente della So­cietà nucleare Italiana.

Insomma, un’icona perfetta da sfregiare.

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