Cronache

Storpiare il cognome può diventare reato: la sentenza che cambia tutto

Modificare il cognome di una persona per dileggiarla potrebbe costare caro agli autori: la nuova sentenza che ribalta tutto

Storpiare il cognome può diventare reato: la sentenza che cambia tutto

Se proprio non può farne a meno, Marco Travaglio dovrà trovare un altro modo per dileggiare i suoi avversari. Come riporta il quotidiano Libero, infatti, una sentenza della corte di Cassazione ha stabilito che modificare il cognome altrui allo scopo di dileggiare è un reato. Basta aprire e sfogliare il Fatto quotidiano per trovare, tra le sue pagine, vari esempi di questa pratica, molto spesso adottata dal direttore per sbeffeggiare chi la pensa diversamente da lui.

Tra le sue vittime preferite non si può non menzionare Silvio Berlusconi, ma si aggiungono all'elenco anche personaggi come Giuliano Ferrara, Matteo Renzi, l'ex presidente della Repubblica Giorgio Napolitano e Guido Bertolaso. L'elenco sarebbe in realtà molto più lungo se dovessimo menzionarli tutti, vista la frequenza con la quale Marco Travaglio si diletta in questo hobby che, ora, potrebbe costargli qualche grattacapo legale.

A fare scuola sarà una sentenza emessa dal tribunale di Cremona, su precedente pronuncia del giudice di pace di Crema, relativa a una vicenda accaduta molti anni fa in una cittadina della provincia lombarda. Tutto nasce da un cittadino che, per rivendicare le sue ragioni di diritto sull'ottenimento di una casa popolare, durante una manifestazione pubblica ha ben pensato di dileggiare l'allora sindaco del paese. Ha indossato un camice bianco (il primo cittadino era farmacista) e per rendere il tutto ancora più credibile e realistico, si era appuntato sul petto un'imitazione del tesserino di riconoscimento dell'ordine. Peccato che, al posto del vero nome del farmacista, avesse utilizzato una versione modificata mirata a offendere.

Essendo avvenuto in un luogo pubblico, per di più "direttamente dinanzi alla farmacia della vittima, nel mentre questa era intenta al lavoro", il dileggio è stato punito con ancora più severità. Essendo passati 10 anni dai fatti, la parte penale è andata in prescrizione ma non quella civile, tanto che l'uomo ritenuto colpevole è stato condannato al pagamento di 4mila euro al primo cittadino. A nulla è servita la difesa da parte degli avvocati, che si sono appellati al diritto di satira e di critica politica.

Nella sentenza, i giudici si sono più volte espressi in tal senso, sottolineando che "deve essere ben chiaro il confine tra la legittima espressione satirica di ludibrio o ironico scherno e, di contro, il disprezzo personale gratuito".

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