Cronache

Il mondo cambia, la tv cretina resta uguale

Non sappiamo da quanti lustri la televisione di Stato mandi in onda un programma che dura ore e ore per accompagnare sgangheratamente il termine di un anno e l'inizio dei un altro

Il mondo cambia, la tv cretina resta uguale

Nei giorni scorsi anche noi del Giornale ci siamo occupati con passione delle festività tradizionali, difendendole perché in fondo raccontano la nostra storia e sono il simbolo - un po' logoro - della civiltà che abbiamo costruito. Non ci rimangiamo una sola parola di quelle che abbiamo scritto. Desideriamo però approfondire la questione. Il mondo continua da sempre a cambiare, ma è indubbio che nell'ultimo mezzo secolo è cambiato molto e molto in fretta a causa della velocità. I trasporti sono rapidissimi. Mediante internet le notizie - di ogni tipo - ci raggiungono in tempo reale. Un fatto o un fattaccio non appena accaduto è subito a nostra conoscenza. Non ci dilunghiamo: il concetto sembra già chiaro. Possibile che, di fronte a simili stravolgimenti del nostro stile di vivere, seguitiamo a conservare gelosamente certe abitudini direi tribali? Un esempio. Il 31 dicembre aspettiamo il nuovo anno con trepidazione e lo festeggiamo esattamente come nell'Ottocento e nel Novecento: con un occhio all'orologio e la mano sul tappo della bottiglia di spumante (lo champagne è riservato ai ricchi, ma l'è istess) attendiamo la mezzanotte per fare i cretini in famiglia o al ristorante o in casa di amici. E giù brindisi, baci e abbracci, pacche sulle spalle come se l'avvento del nuovo anno fosse merito nostro e non del calendario. Poi ci sono i fessi, numerosissimi, che non paghi di inscenare manfrine per esprimere una felicità artificiale, lanciano petardi e ordigni vari onde segnalare sonoramente ai propri simili che non siamo più nel 2015, bensì nel 2016. Però, che intuizione. Non sappiamo da quanti lustri la televisione di Stato mandi in onda un programma che dura ore e ore per accompagnare sgangheratamente il termine di un anno e l'inizio dei un altro. Gente che canta, che strepita e sbevazza contenta perché è diventata più vecchia. Quelli che ballano e quelli che ridono. Ma che c'è da sganasciarsi? Abbiamo visto un presentatore Rai saltabeccare quale animale da cortile, donne con le tette fuori che abbracciavano chiunque, perfino le telecamere, perché l'orologio scandiva le 0,6. Addirittura abbiamo «ammirato» un bestemmione negli sms dei telespettatori: novità assoluta. Qualcuno pagherà, speriamo. Siamo goffi e ridicoli nel nostro modo antiquato di festeggiare l'evento più scontato: il trascorrere del tempo. Mentre nelle città europee si udivano botti a ripetizione, in giro per il mondo succedevano cose turche. In Israele, in una delle consuete scaramucce mortali tra indigeni e palestinesi, due persone rimanevano secche a dimostrazione che nel peggio non mutiamo mai. I conflitti della nostra epoca non osservano il calendario, i guerriglieri e il terrorismo non riposano per lasciarci brindare in pace. A Monaco di Baviera il popolo, nel timore di attentati annunciati, e per fortuna non avvenuti, si è fermato: città paralizzata, blindata, un clima surreale. L'impressione è che ciascuno badi ai cavoli propri, infischiandosene alla grande dei problemi mostruosi di chi abita a cento chilometri dal condominio in cui ci si sbronza perché un altro anno è andato in archivio. Come tutti i pazzi, non sappiamo di esserlo e il risultato è clamoroso: tiriamo avanti con i nostri poveri riti pur di non riflettere. Tanto non serve. Se capita la tragedia, capita ugualmente. In questo contesto, pendiamo dalle labbra di Mattarella impegnato nel discorso augurale agli italiani. Il quale Mattarella dice le solite banalità retoriche di circostanza e ne siamo delusi. Ma cosa poteva dire se non quello che i suoi quasi settanta predecessori hanno predicato invano, scatenando sbadigli a più non posso? La Terra gira e noi siamo ancora qui a fare solletico a Capodanno. Intorno a noi divampano le fiamme, e alziamo i calici. Tutto si modifica tranne la nostra testa tra le nuvole.

Peccato.Vittorio Feltri

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