Cronache

Morto in un incendio l'agente-eroe che viveva con 300 euro al mese

Walter Cucovaz, ex agente di scorta di Falcone e Borsellino, scampato per miracolo alla strage di Capaci, è morto a Savona in un incendio che ha distrutto il suo appartamento. Nel 2016 aveva denunciato di vivere con 300 euro al mese

Morto in un incendio l'agente-eroe che viveva con 300 euro al mese

Walter Cucovaz, 57 anni, ex poliziotto ed ex agente di scorta dei giudici Falcone e Borsellino, è morto nella sua casa popolare di Legino, a Savona, in un incendio che ha distrutto il suo appartamento. Inutile l'immediato intervento dei vigili del fuoco chiamati da una vicina che aveva visto uscire del fumo dalla casa di Cucovaz. Un nome che, alla maggior parte dei nostri lettori, dirà poco.

Eppure, solo pochi anni fa, la storia di questo agente-eroe aveva commosso tutta l'Italia. Cucovaz, che nel 1983 era stato destinato a Palermo in servizio effettivo e inserito nella fase di protezione di Falcone e Borsellino, si era salvato per miracolo dalla strage di Capaci. Quel giorno, il 23 maggio 1992, avrebbe dovuto trovarsi con alcuni colleghi nella macchina fatta saltare in aria dalla mafia. A salvarlo fu la fortuna, visto che nel momento in cui il tritolo faceva a brandelli Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e gli agenti Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro, Cucovaz era di turno al tribunale di Palermo.

Uno choc, uno dei tanti della sua vita. Contrassegnata da un lutto dietro l'altro, un vero e proprio calvario. In un'intervista a ivg del 2016 raccontò che dalla strage di Capaci "cominciai a subire forti traumi depressivi e mi trasferirono a prestare servizio nella città di Bergamo, come supporto alla penitenziaria durante i vari processi alle Brigate Rosse. Poi sempre in servizio protezione, come ai vari summit dei capi di stato a Venezia; e successivamente in protezione dell’allora presidente di Confindustria Pininfarina, che possedeva una proprietà a Garlenda vicino Albenga". Un'apparente tranquillità funestata da un fulmine a ciel sereno: il suicidio, con un colpo di pistola sparato in Questura, del suo migliore amico e collega Marco. Poco tempo dopo, la morte dell'amato padre.

"Rimanendo solo ho iniziato ad abusare fortemente di alcolici, per non pensare. Sono stato ricoverato diverse volte nel reparto psichiatrico di Valloria, vicino a Savona. Mi hanno mandato in una clinica per disintossicarmi, ma io volevo morire… e quindi me ne andai volontariamente. Allora, nel 2010, il giudice ha deciso di affidarmi ad un amministratore di sostegno, e da lì ho iniziato gradualmente a perdere la mia dignità. In tutti i sensi". Infatti, il suo amministratore gli consentiva di prelevare dal suo conto solo 250 euro ogni 20 giorni. Un'umiliazione esacerbata dal fatto di dover chiamare ogni volta lo studio dell'avvocato.

"Io ho servito lo Stato, rischiando la mia vita. Ho visto morire i miei colleghi. L’unica cosa che chiedo è riprendermi la mia dignità", diceva. Ha vissuto per tanti anni in una casa popolare di Savona, con una manciata di euro a disposizione. "Ho la lavastoviglie rotta, sono costretto a girare le manopole del gas con le pinze. Ho la tenda del balcone strappata e d’estate non posso farmi ombra. Sono piccoli problemi quotidiani, che però non posso risolvere se non abbassandomi ogni volta a chiedere al mio amministratore". Ma il suo appello era caduto nel vuoto.

Fino alla tragedia del 31 dicembre, le fiamme e la morte.

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